CONGO ATTUALITÀ N. 154

SOMMARIO

EDITORIALE: Ruanda, l’albero che nasconde la foresta.

1. LA PRESENTAZIONE DEGLI ANNESSI DEL RAPPORTO DEL GRUPPO DEGLI ESPERTI DELL’ONU AL CONSIGLIO DI SICUREZZA.

2. NUOVE DEFEZIONI DALL’ESERCITO AL M23.

3. DICHIARAZIONI DELLA SOCIETÀ CIVILE.

4. UN «GENOCIDIO DIMENTICATO».

5. CON IL POPOLO CONGOLESE CONTRO LA COLONIZZAZIONE DEL KIVU DA PARTE DELLE FORZE ARMATE RUANDESI.

 

EDITORIALE: RUANDA, L’ALBERO CHE NASCONDE LA FORESTA

1. LA PRESENTAZIONE DEGLI ANNESSI DEL RAPPORTO DEL GRUPPO DEGLI ESPERTI DELL’ONU AL CONSIGLIO DI SICUREZZA

Il 27 giugno, a New York, ai membri del Consiglio di Sicurezza dell’Onu sono stati presentati gli allegati al rapporto del gruppo degli esperti delle Nazioni Unite sulle violazioni dell’embargo sulle forniture di armi ai gruppi armati attivi nella RDCongo.

Gli annessi accusano il Ruanda di aver appoggiato la ribellione del M23, che sta combattendo nel Nord Kivu contro le Forze Armate della RDCongo (FARDC). È negli allegati al loro rapporto che gli esperti delle Nazioni Unite hanno compilato tutte le informazioni sull’appoggio del Ruanda al M 23.

In particolare, sono citati cinque ufficiali dell’esercito ruandese, tra cui il Ministro della Difesa James Kabarebe, il Capo di Stato Maggiore dell’esercito Charles Kayonga e l’ex capo dell’intelligence militare, Jacques Nziza, sospettati di essere i primi responsabili dell’appoggio fornito al M23.

Secondo gli annessi, Kigali avrebbe fornito armi, munizioni e informazioni e avrebbe, inoltre, facilitato il reclutamento di nuovi combattenti sul suo territorio. Ad esempio, in depositi clandestini del M23, si sarebbero trovate delle armi che non sono in dotazione dell’esercito congolese. Sono state fornite dal Ruanda? Su questo punto, gli esperti dell’Onu non sono riusciti a rintracciare la loro origine.

Secondo le testimonianze di militari congolesi e di ex ufficiali ruandesi, vari militari ruandesi avrebbero direttamente partecipato ai combattimenti contro le FARDC.

Infine, secondo le informazioni raccolte dal gruppo degli esperti delle Nazioni Unite, degli ufficiali ruandesi hanno fatto pressioni su politici, militari e uomini d’affari dei due Kivu, affinché entrassero a far parte del M23 o, almeno, lo appoggiassero.

Nel redigere questo documento, gli investigatori delle Nazioni Unite affermano di aver ritenuto solo informazioni concordanti provenienti da almeno cinque fonti indipendenti l’una dall’altra. Solo per motivi di sicurezza, le testimonianze sono anonime. Un limite è che nessun documento, sempre difficile da ottenere, riesce a dimostrare la tracciabilità delle armi o dei flussi finanziari destinati al M23.

Il 28 giugno, nel corso di una conferenza stampa tenuta a Kinshasa, il ministro Lambert Mende Omalanga, portavoce del governo congolese, ha rivelato le “schiaccianti prove” di cui sono in possesso gli esperti delle Nazioni Unite e che dimostrano che «il Ruanda ha violato le sanzioni delle Nazioni Unite, fornendo armi, munizioni, militari e nuove reclute ruandesi ai ribelli del gruppo armato anti-governativo conosciuto come M23».

«Gli esperti dell’Onu citano ufficiali ruandesi di primo piano, tra cui il ministro della difesa, il Capo di Stato Maggiore Generale dell’esercito ruandese e il principale consigliere militare del presidente Kagame. In altre parole, i vertici della gerarchia militare del paese vicino», ha dichiarato Lambert Mende.

«Le evidenti prove contenute nel rapporto del gruppo degli esperti sulla violazione dell’embargo sulle armi destinate a gruppi armati attivi in RDCongo indicano che il gruppo di Bosco Nataganda dispone di appoggi di alto livello da parte del governo ruandese», ha sottolineato il portavoce del governo. Il Ministro ha poi riportato una serie di fatti inconfutabili.

In primo luogo, «il 14 giugno, a Rugari (Rutshuru), è stato catturato Etienne Ntakirutimana, aiutante dell’esercito ruandese, che faceva parte di un primo gruppo di 80 militari dell’esercito ruandese inviati a Runyonyi agli inizi di maggio, per affiancare gli ammutinati del gruppo di Ntaganda e Ruzandiza, alias Makenga, e preparare un campo base per Ntaganda, che era appena stato sconfitto a Kibumba e Bunaga».

In secondo luogo, «è stata confermata la presenza, nelle file del M23, di almeno tre battaglioni comandati da ufficiali ruandesi: il 31° Battaglione (colonnello Modeste, ex-FAR) dispiegato a Runyonyi, il 69° Battaglione (tenente colonnello Tadhée, ex-FAR) dispiegato a Mbuzi e il 99° Battaglione (colonnello Kitoko, ex APR) dispiegato a Chanzu. Questi tre battaglioni ruandesi, inviati nel Kivu per rinforzare la milizia di Ntaganda, ha ricevuto l’ordine di missione dal generale Gashahiza, comandante della 305ª Brigata dell’esercito ruandese basata a Kinigi, nei pressi del Parco dei Virunga», ha dichiarato il ministro Mende.

Infine, «durante la notte del 3 maggio, il colonnello Ruzandiza, alias Sultani Makenga, n ° 2 del gruppo di Ntaganda e altri 60 militari hanno varcato la frontiera di Bukavu (nel Sud Kivu) con armi e munizioni e, passando attraverso il territorio ruandese (via Cyangungu-Kamembe Kabuhanga- Gikongoro- Butare- Ngororero-Gisenyi-Mutara-Gasinzi-Kinigi) sono rientrati in RDCongo, per raggiungere Runyonyi, nel Nord Kivu. Essi hanno ricevuto aiuto e assistenza, tra cui facilità di trasporto via lago e su strada, uniformi militari, armi e munizioni da parte del maggiore Bakubirigwa, dell’esercito ruandese, e del capitano Laurent Gasana, S2 della brigata ruandese di Rubavu. A Kabuhanga, si sono incontrati con il generale Ruvusha, comandante a.i. della divisione di Rubavu».

«Non si tratta, quindi, di un conflitto tra comunità congolesi, che non esiste, o di ostilità tra autoctoni e ruandofoni, come sostenuto dalle autorità ruandesi», ha affermato il Ministro Mende di fronte alle dichiarazioni di Kigali.

La RDCongo esige, quindi, che « tutte le strutture di reclutamento, rinforzo, armamento e appoggio logistico esistenti su territorio ruandese a favore del gruppo armato di Bosco Ntaganda, siano smantellate senza condizioni».

La RDCongo chiede che «le autorità ruandesi cessino di descrivere la RDCongo come uno stato fallito, dipendente praticamente dalla loro buona volontà per risolvere i propri problemi».

La RDCongo considera «pericoloso per la pace e la sicurezza nella regione, il deliberato tentativo del Ruanda di dare una colorazione etnica e politica a un gruppo criminale riconosciuto tale dalla comunità internazionale nel suo complesso».

Il governo dichiara, affinché nessuno faccia finta di dimenticarlo, che «la responsabilità penale degli atti di violenza commessi da Ntaganda e dai suoi collaboratori è strettamente personale. Voler far credere che sia in atto un qualsiasi tipo di accusa su un crimine collettivo contro una qualsiasi comunità del Kivu è pura assurdità».

La RDCongo «chiede alla direzione politica ruandese di cessare di volere riportare alla superficie, attraverso insinuazioni fuori di posto, rivalità etniche di epoche passate, per le quali la regione ha già troppo sofferto. Non c’è attualmente, alcuna confrontazione inter-etnica tra le popolazioni congolesi che vivono nel Kivu. Solo le forze negative e coloro che, dall’esterno, forniscono loro appoggio e assistenza, continuano a strumentalizzare questi argomenti per seminare un caos, che permette loro di continuare la loro attività di sfruttamento illegale delle risorse naturali congolesi», ha sottolineato il ministro Mende.

Il Governo congolese, infine, «invita gli Stati membri dell’Unione Africana e del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni – Unite ad adottare sanzioni severe contro tutti coloro che violano le norme internazionali vigenti. Spetta al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, prendere piena coscienza del dramma umanamente inaccettabile vissuto da uomini, donne e bambini nel Nord Kivu, che non bisogna lasciare più a lungo nelle mani di un gruppo mafioso teleguidato a partire dal Ruanda», ha concluso il ministro Mende.

Circa gli alti ufficiali ruandesi citati, il rapporto del gruppo degli esperti dell’Onu riporta le seguenti gravi violazioni delle leggi internazionali:

– Il Generale Jacques Nziza, segretario permanente presso il Ministro della Difesa, ha supervisionato le operazioni di sostegno militare, finanziario e logistico destinato agli ammutinati del M23. Recentemente è stato inviato a Ruhengeri e Gisenyi per coordinare l’assistenza e il reclutamento a favore del M23

– Il generale James Kabarebe, ministro della Difesa, attraverso il suo assistente personale, il capitano Celestin Senkoko, ha svolto un ruolo centrale nel reclutamento e nella mobilitazione degli aiuti di tipo politico e militare a favore del M23. Secondo il rapporto, egli mantiene frequenti contatti con i membri del M23 e coordina le operazioni militari sul fronte.

– Celestin Senkoko, assistente personale al generale James Kabarebe, e altri ufficiali ruandesi hanno cercato in tutti i modi di convincere uomini d’affari congolesi, politici ed ex ribelli integrati nell’esercito congolese ad aderire o appoggiate la ribellione del M23, al fine di provocare «una nuova guerra per la secessione dei due Kivu».

– Il Generale Charles Kayonga, Capo di Stato Maggiore dell’esercito ruandese, ha supervisionato la globalità dell’appoggio militare al M23 ed è stato in costante contatto con il colonnello Makenga, uno dei capi dell’ammutinamento. Ha assicurato il trasferimento di truppe e di armi dal Ruanda, per conto del M23.

– Il sostegno militare sul fronte è diretto, tra altri, dal generale Emmanuel Ruvusha, capo della regione militare di Gisenyi e dal generale Alexis Kagame, capo della regione militare di Ruhengeri. Entrambi hanno facilitato il reclutamento di civili e di militari ruandesi smobilitati, fra cui degli ex-FDLR, a favore del M23. Hanno, inoltre, coordinato l’appoggio di truppe dell’esercito ruandese, inviate a Runyioni, a fianco degli ammutinati.

– Il Colonnello Jomba Gakumba, nativo del Nord Kivu e ex istruttore dell’esercito ruandese presso l’Accademia Militare del Ruanda a Gake, è stato inviato a Ruhengeri sin dall’inizio della creazione del M23 e ha comandato localmente le operazioni militari di supporto al M23

– Bosco Ntaganda e Makenga hanno spesso attraversato il confine ruandese per partecipare, a Kinigi, a delle riunioni con gli alti ufficiali ruandesi citati sopra, per coordinare le operazioni militari e la logistica. Anche l’ex capo del CNDP, Laurent Nkunda, che è ufficialmente agli arresti domiciliari a Kigali dal gennaio 2009, ha partecipato a tali riunioni.

Il gruppo degli esperti dell’Onu, in un rapporto di 44 pagine, presentato ai membri del Consiglio di Sicurezza, ma non ancora reso pubblico, ha precisato che l’appoggio del Ruanda al M23 costituisce una violazione delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che vietano la fornitura di armi ai gruppi armati attivi nella RDCongo.

In sintesi, le violazioni dell’embargo sulle armi e del regime di sanzioni sono le seguenti:

– Assistenza diretta nella creazione del M23;

– Trasporto di armi e militari su territorio ruandese;

– Reclutamento di giovani ruandesi, ex combattenti smobilitati e rifugiati congolesi a favore del M23;

– Fornitura di armi e munizioni al M23;

– Incitamento di leader politici congolesi e mobilitazione di finanziamenti a favore del M23;

– Intervento diretto di truppe dell’esercito ruandese in territorio congolese per rafforzare il M23;

– Violazione del congelamento di fondi finanziari e del divieto di viaggio, sanzioni già decretate dal Consiglio di Sicurezza contro alcune personalità.

– Appoggio a vari altri gruppi armati presenti nel Kivu.

Gli esperti delle Nazioni Unite hanno dettagliato anche i vari punti di transito e di reclutamento di nuove leve da inviare a fianco del M23. Ed è in Ruanda che ne trovano le tracce, particolarmente a Kinigi, situato a 5 chilometri dal confine congolese. Il Rapporto sottolinea che «Alcune reclute hanno dichiarato di avere ricevuto un pasto all’hotel Bishokoro, di proprietà del Generale Bosco Ntaganda e di suo fratello, a Kinigi. In seguito, i soldati del RDF (esercito ruandese) hanno scortato i vari gruppi di nuove reclute fino alla frontiera e li hanno fatti entrare nella RDCongo».

Nel tentativo di risolvere la crisi sorta a proposito del sostegno ruandese al M23, i governi della RDCongo e del Ruanda hanno avuto una serie di incontri bilaterali sin dall’inizio di aprile 2012.

In tali incontri, gli ufficiali ruandesi hanno insistito sull’impunità per i membri del M23, loro alleati, compreso il generale Bosco Ntaganda, e sul dispiegamento di unità aggiuntive dell’esercito ruandese nel Kivu, per condurre operazioni militari contro le FDLR. Questa richiesta è stata ripetuta più volte, nonostante che:

a) Forze speciali dell’esercito ruandese erano già state dispiegate ufficialmente nel territorio di Rutshuru da oltre un anno;

b) L’esercito ruandese aveva sospeso le sue iniziative unilaterali per indebolire le FDLR nel mese di febbraio;

c) Le unità operative dell’esercito ruandese rinforzavano periodicamente il M23 sul campo di battaglia contro l’esercito congolese;

d) Il M23 si era direttamente o indirettamente alleato con vari gruppi armati delle FDLR;

e) L’esercito ruandese reclutava le FDLR precedentemente rimpatriate per accrescere le file del M23.

Il 30 giugno, il Dipartimento di Stato Americano, presieduto da Hillary Rodham Clinton, ha annunciato, tramite il suo portavoce Victoria Nuland, che gli Stati Uniti “hanno chiesto al Ruanda di fermare e impedire il sostegno ai ribelli del M23, a partire dal suo territorio”.

2. NUOVE DEFEZIONI DALL’ESERCITO AL M23

 

Il 20 giugno, 17 militari del quinto settore delle FARDC con sede nel capoluogo del territorio di Lubero, tra cui sette ufficiali superiori, hanno disertato l’esercito nazionale, per unirsi alla ribellione del M23 a Rutshuru. I diciassette disertori hanno lasciato il campo militare con armi e bagagli, verso le 22h00 locale. Hanno preso la direzione di Kasuo, 45 km a sud di Lubero, ha dichiarato il colonnello Serushago, comandante della polizia nazionale congolese (PNC) di Lubero. I disertori assicuravano la guardia del tenente colonnello Douglas, responsabile delle informazioni all’interno del 5° settore delle FARDC a Lubero, “anch’egli assente dall’inizio della settimana”.

Nell’ultimo fine settimana, un altro gruppo di ex militari del Congresso Nazionale per la Difesa del Popolo (CNDP), guidati dal tenente colonnello Mboneza, anch’egli disertore, è arrivato a Kasuo da Beni, attraversando la foresta di Mangurejipa. Il Colonnello Mboneza era vice comandante dell’808° reggimento FARDC a Beni.

Un ufficiale militare ha confermato che “alcuni ufficiali stanno disertando l’esercito” senza, tuttavia, specificare il loro numero. Egli ha poi aggiunto che: «Non posso essere sorpreso da tali diserzioni, perché sono dei militari ex-CNDP che si stanno unendo ai loro fratelli. Non mi sorprende nemmeno il fatto che se ne vadano con armi e munizioni, perché fino alla loro defezione occupavano posti di comando in seno alle FARDC».

Il portavoce del M23, il tenente colonnello Vianney Kazarama, afferma che oltre 150 militari dell’esercito regolare e sette ufficiali delle FARDC, tre tenenti colonnelli e quattro maggiori, si sono uniti al loro ammutinamento. «Sono arrivati con armi e molte munizioni. Nel loro arsenale, ci sono anche missili anti-aerei», ha aggiunto il portavoce degli ammutinati. «È pura propaganda», dichiara il portavoce del governo a Kinshasa. Secondo Lambert Mende, sui 4000 militari FARDC proveniente dall’ex movimento ribelle del CNDP, solo 400 hanno disertato dall’inizio dell’ammutinamento e su quei 400, 240sono già rientrati. Secondo lui, le truppe del M23, sono ora costituite principalmente di reclute ruandesi.

Il 22 giugno, durante la notte, venticinque (25) militari e quattro capitani dell’808° reggimento delle FARDC hanno abbandonato la loro posizione nella località di Mabialote (Beni) ancora nel Nord Kivu e si sono dileguati nella foresta. Questi disertori, che avrebbero detto di volere unirsi alla ribellione del M23, hanno portato via diverse armi e munizioni. Secondo il comandante del primo settore delle FARDC con sede a Beni, il colonnello Eric Rurihombere, era da qualche giorno che i capi ribelli del M23 chiedevano, per telefono, ai militari e ufficiali provenienti dal CNDP e designati al primo settore delle FARDC, di unirsi al loro movimento. Senza annunciare una qualsiasi minima azione contro queste defezioni che stanno diventando ricorrenti, il colonnello Eric Rurihombere assicura che le FARDC si sono già lanciate all’inseguimento dei disertori per neutralizzarli e che la situazione generale nel territorio di Beni è sotto controllo.

I reggimenti delle FARDC (Forze Armate della RDCongo) basati nel Nord Kivu si stanno svuotando, molto rapidamente, dei militari infiltrati ruandesi entrati a far parte dell’esercito nazionale sin dai tempi dell’AFDL (Alleanza delle Forze Democratiche per la Liberazione del Congo) e del regime 1+4. Questa ondata di vere false defezioni è consecutiva ad un ordine venuto da Kigali, affinché entrino immediatamente nelle file del CNDP/M23. L’obiettivo diabolico sarebbe quello di rilanciare l’insicurezza e rendere il Nord Kivu ingovernabile, destabilizzare le istituzioni della Repubblica e provocare la balcanizzazione della RDCongo. Strumentalizzando il CNDP / M23, i protettori di Bosco Ntaganda vorrebbero fare accreditare la tesi di una crisi politico-militare Congo-congolese nell’Est del Paese.

Invece di lamentarsene, i Congolese dovrebbero piuttosto approfittare di tale occasione, perché ciò permetterà alla gerarchia delle FARDC di conoscere il numero effettivo degli infiltrati (che disertano) e di prendere le misure necessarie per impedire nuove infiltrazioni nel sistema di difesa nazionale. In questa fase, i politici congolesi dovrebbero promuovere una grande offensiva diplomatica per capitalizzare, all’interno della comunità internazionale, la percezione sempre più diffusa, che individua il Ruanda come principale fattore di turbamento della pace nel Nord Kivu.

La diplomazia congolese dovrebbe alzare la voce, affinché i 5 milioni di morti registrati in Congo tra il 1996 e il 2003 a causa dell’AFDL e dei suoi alleati ruandesi e i nuovi morti “prodotti” dal CNDP/M23 non siano morti invano. I crimini di guerra e i crimini contro l’umanità commessi in Congo dai militari ruandesi meritano attenzione e considerazione tanto quanto il genocidio dei Tutsi in Ruanda nel 1994. In termini di morti assurde provocate da criminali di guerra, Congolesi e Ruandesi devono essere trattati sullo stesso piano.

Il 30 giugno, giorno dell’indipendenza, dopo una decina di giorni di precaria calma, nel settore di Ntamugenga, nella provincia del Nord Kivu, sono ripresi i combattimenti tra l’esercito e i ribelli del M23. Le FARDC e il M23 si accusano a vicenda di aver iniziato gli attacchi nei pressi di Mbuzi, una delle tre colline vicino alla frontiera con Ruanda e Uganda, dove sono raggruppati i dissidenti. Domenica, 1° luglio, in tarda mattinata, è tornata una relativa calma.

3. DICHIARAZIONI DELLA SOCIETÀ CIVILE

Dal 27 al 28 giugno, i membri della società civile del Nord Kivu e del Sud Kivu si sono incontrati a Goma (Nord Kivu), per valutare la preoccupante situazione di insicurezza che prevale in entrambe le province. Essi rilevano i seguenti fatti:

– Scontri armati su diversi fronti.

– Esistenza di diversi gruppi armati: M23, FDLR, YAKUTUMBA, FNL, i vari gruppi MAÏ MAÏ Raiya Mutomboki, Nyatura, APCLS, Guide FDC, ADF-Nalu ….

– Diserzioni dalle FARDC, PNC, servizi statali e parastatali, servizi di intelligence e di sicurezza e dimissioni di alcuni politici dal governo provinciale del Nord Kivu per unirsi agli ammutinati;

– La crisi in seno all’Assemblea provinciale del Nord Kivu;

– Malversazioni degli stipendi e delle razioni alimentari dei militari;

– Assalti a veicoli, negozi, banche e altre istituzioni di microfinanza.

Questa oscura situazione ha degli effetti negativi sulla popolazione civile e minaccia la sovranità della RDCongo. A titolo illustrativo, essi citano:

– Generalizzazione della miseria e della psicosi;

– Persistenza dell’impunità a favore degli autori di crimini di guerra e di violazioni dei diritti umani e del diritto umanitario internazionale, tuttavia citati più volte nei vari rapporti pubblicati ;

– Continui omicidi, massacri, continui e ingenti spostamenti delle popolazioni civili, spesso senza un’adeguata assistenza umanitaria;

– Continuazione del saccheggio delle risorse naturali della RDCongo;

– Attacchi mirati contro gli agenti delle organizzazioni umanitarie;

– Aumento dei prezzi;

– Deterioramento della coesione sociale;

– Distruzione della famiglia attraverso la violenza sessuale;

– Minacce, intimidazioni e attacchi contro gli agenti della società civile;

– Reclutamento di bambini nei gruppi armati;

– Coalizioni contro natura di vari gruppi armati;

– Posti di blocco stradali con imposizione di tasse illegali sulla popolazione;

– Sequestri di ostaggi per chiedere riscatti dalle popolazioni civili;

– Fenomeno di strangolamento con corda localmente chiamato “Kabanga”.

Prendendo in considerazione quanto sopra e tenuto conto delle minacce esterne contro la sovranità della nazione congolese, confermate anche da diverse fonti affidabili e il rischio di balcanizzazione della RDCongo, i membri delle due delegazioni condannano con forza i fatti di cui sopra e

1. Chiedono al governo congolese di ottemperare agli obblighi che gli spettano per proteggere i civili e le loro proprietà;

2. Salutano la pubblicazione dei vari rapporti sulla situazione di insicurezza nella parte orientale della RDCongo, in particolare quello delle Nazioni Unite nel giugno 2012 e ne richiedono l’attuazione delle raccomandazioni espresse;

3. Rendono omaggio alle FARDC per il loro coraggio sul fronte e per la loro determinazione nel difendere l’integrità del territorio nazionale;

4. Invitano il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, l’Unione Africana e le organizzazioni regionali di fare pressione sui paesi vicini, affinché rispettino gli impegni internazionali;

5. Chiedono alle comunità etniche di lottare contro tutte le manipolazioni politiche che tendono a dividerle;

6. Chiedono alla popolazione congolese di sostenere gli sforzi intrapresi per rafforzare la sicurezza e la pace nella RDCongo;

7. Denunciano la strumentalizzazione delle comunità congolesi con discorsi di incitamento all’odio tribale pronunciati da alcuni diplomatici;

8. Lanciano, infine, una campagna per promuovere il risveglio patriottico e la solidarietà nazionale.

Il 1° luglio, in una dichiarazione, la società civile del Nord Kivu ha espresso la sua preoccupazione per la presenza di “truppe straniere nei territori di Rutshuru e Lubero”. Teme, inoltre, un probabile attacco congiunto da parte delle milizie Mai Mai e dei ribelli del M23, con l’appoggio di queste truppe. Da parte loro, le autorità provinciali non hanno confermato la presenza di truppe straniere nella zona.

La società civile del Nord Kivu ha sottolineato che queste truppe straniere sono presenti nelle località di Katwiguru e Kahunga, rispettivamente nei raggruppamenti di Binza e Bwisha, in territorio di Rutshuru. Un altro battaglione, prosegue la nota, sarebbe a Kasiki, nel raggruppamento di Tama, in teritorio di Lubero.

Secondo il documento della società civile, le truppe straniere sono rimaste nella RDCongo in seguito alle operazioni militari congiunte contro i ribelli ruandesi delle Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR). Secondo la società civile, la presenza di truppe straniere è una fonte di preoccupazione per le popolazioni civili di queste località in cui, da oltre due mesi, le FARDC combattono contro gli ammutinati confluiti nel M23.

Il portavoce della società civile nel Nord Kivu, Omar Kavota ha affermato: “Un’intera brigata composta principalmente da militari ruandesi si trova a Kahunga. Questi militari servono come rinforzo a quelli che disertano dalle FARDC”. Omar Kavota ha inoltre invitato le autorità della RDCongo a prendere le misure necessarie nel più breve tempo possibile, per rassicurare le popolazioni locali la cui sicurezza è minacciata.

Da parte sua, il vice governatore del Nord Kivu, Feller Lutaichirua, ha dichiarato che tali affermazioni non possono essere confermate che dopo l’istituzione dei meccanismi di verifica.

4. UN «GENOCIDIO DIMENTICATO»

Fino ad oggi, il bilancio delle varie guerre che, dal 1996, stanno devastando l’Est della RDCongo si calcola in milioni di morti. Oltre sei milioni di morti, secondo diverse fonti. Milioni di Congolesi sono stati uccisi nella totale indifferenza della comunità internazionale, mentre in altri Paesi (in Ruanda, per esempio), simili eventi sono stati rapidamente assimilati al genocidio. Invece, la tragedia dell’Est della RDCongo è ancora un “genocidio dimenticato”. Esso è pianificato e realizzato da una vasta rete criminale che ha dei tentacoli in paesi vicini, come il Ruanda e l’Uganda.

In un recente libro pubblicato da “Le nègre éditeur ” sotto il titolo: «Il Canada nelle guerre in Africa centrale. Il genocidio e il saccheggio delle risorse minerarie del Congo, via il Ruanda», Patrick Mbeko dedica una sezione ai “Congolesi, eterni dimenticati”. Egli scrive: «Il genocidio ruandese e la propaganda avviata dalle autorità di Kigali e dai loro protettori occidentali sul “genocidio dei Tutsi” ha oscurato la tragedia che i Congolesi stanno vivendo sin dai tempi dell’invasione dell’Est della RDCongo da parte dell’APR. Le vittime congolesi degli estremisti tutsi non hanno portavoce, nessuno parla per loro».

Nel suo libro, Patrick Mbeko scrive a lungo sul grande progetto di invasione della RDCongo, pensato fin dai tempi dello Zaire. Egli dimostra come è stato pianificato ed eseguito.

Egli scrive: «Si nota una coincidenza tra l’obiettivo finale delle potenze occidentali, cioè quello di entrare in possesso delle immense ricchezze del Congo, e la volontà degli estremisti tutsi di espandere il loro spazio vitale, appropriandosi del Congo orientale, ricco di materie prime e di terreni fertili». Perciò, egli continua, «gli estremisti tutsi hanno intrapreso una politica, senza precedenti, di spopolamento delle province del Kivu. Hanno fatto ricorso ai massacri generalizzati dei civili e allo stupro sistematico, al fine di costringere le popolazioni congolesi ad abbandonare le loro terre e trasferirvi, ad ogni costo, popolazioni ruandesi». Nello stesso tempo, egli sottolinea, «il progetto prevede di creare più terre libere da lasciare a disposizione delle multinazionali canadesi, americane, inglesi, belghe e israeliane, che si divideranno tra loro la “torta congolese”, i cui ingredienti sono le vaste risorse naturali che abbondano nella RDCongo». Questo è lo schema che è stato previsto, uno schema cui hanno aderito i vari movimenti ribelli all’Est della RDCongo, l’AFDL, il RCD, il CNDP e ora il M23. Ma per raggiungere questo obiettivo, i Congolesi hanno pagato il prezzo più caro: oltre 6.000.000 di morti.

Che cosa bisogna ancora aspettare per poter parlare di un genocidio nelle province del Nord e Sud Kivu? Uomini e donne, bambini e anziani, sono stati freddamente uccisi semplicemente perché Congolesi. Il loro unico crimine è quello di aver sfidato l’invasore cercando di difendere la loro terra. La loro morte è la tragica conseguenza di uno schema ben pianificato e cinicamente eseguito sul campo da truppe visibilmente appoggiate da paesi chiaramente identificati. I crimini commessi nell’Est della RDCongo hanno effettivamente la connotazione del genocidio. Ignorare questa realtà, è un segno di vigliaccheria e di tradimento del popolo congolese, violentato per anni da coloro che hanno giurato di far scomparire la RDCongo nelle sue frontiere ereditate nel 1960.

La tragedia che ha colpito l’Est della RDCongo sin dal 1996 è un vero genocidio che si cerca di dimenticare o di nascondere, per proteggerne i colpevoli. Ma diventa sempre più urgente riconoscere il male causato al popolo congolese, dichiarando “ufficiale” questo genocidio “dimenticato”. La comunità internazionale deve assumersi la propria responsabilità. Ne dipende la sua credibilità. Il riconoscimento di questo genocidio comporta, ai sensi dell’articolo VII della Convenzione dell’ONU sulla prevenzione e la repressione del crimine di genocidio del 1948, un obbligo per gli organi competenti delle Nazioni Unite di adottare misure adeguate per la prevenzione e repressione degli atti di genocidio commessi dal 1996 sul suolo congolese.

Il regime di Kigali si è servito del genocidio ruandese per ricattare le grandi potenze. Il gioco ha avuto un tale successo nel passato che ora se ne serve per nascondere i propri crimini. Da vittima, Kigali è diventato un boia che chiede di essere coccolato. I suoi crimini nella RDC sono senza limiti. A partire dal 1994, con il pretesto di sconfiggere gli Hutu “genocidari”, il Ruanda occupa una parte del territorio della RDCongo. Si tratta principalmente delle due province del Nord Kivu e Sud Kivu, dove ha moltiplicato e diversificato innumerevoli strategie, per mettervi piede in modo durevole. Il Ruanda è ha commesso in Congo un genocidio molto più ampio di quello per il quale aveva attirato e ottenuto la simpatia del mondo. Ma, per quanto riguarda la RDCongo, la comunità internazionale è riluttante a pronunciare la parola genocidio. Tuttavia, in termini comparativi, il numero delle vittime congolesi è di gran lunga superiore a tutti i casi conosciuti fino ad oggi. Le stime variano tra i 4 e i 9 milioni di morti. Per non parlare delle incalcolabili vessazioni commesse sui sopravvissuti.

Che dire? Che la definizione di genocidio cambia secondo i territori dove è compiuto? Ciò che il regime di Kigali sta facendo nella RDCongo, in particolare all’Est, non è meno di un genocidio. Crea e arma dei gruppi ribelli per massacrare le popolazioni congolesi. Il suo obiettivo finale è quello di mettere le mani sulle risorse naturali della RDCongo.

Osservando l’atteggiamento di alcune potenze occidentali di fronte a ciò che sta accadendo nella parte orientale della RDCongo, si ha l’impressione che la comunità internazionale voglia applicare il principio dei “due pesi e due misure”. È come se le vittime congolesi, nonostante il loro numero, non meritassero la compassione internazionale, come è avvenuto nel 1994.

5. CON IL POPOLO CONGOLESE CONTRO LA COLONIZZAZIONE DEL KIVU DA PARTE DELLE FORZE ARMATE RUANDESI

Il 29 giugno, l’organizzazione Global Witness ha chiesto, in una sua dichiarazione, ai due più grandi donatori del Ruanda, il Regno Unito e gli Stati Uniti, di usare tutta la loro capacità di influenza, affinché Kigali cessi di appoggiare i gruppi armati, il M23 in particolare, operativi nella RDCongo. Secondo Pickles Sophia, ne dipende la vita di migliaia di civili congolesi e la stabilità della regione. Nel 2011, l’importo degli aiuti (di Regno Unito e Stati Uniti) è stato di oltre 350 milioni di dollari.

Il 3 luglio, in una conferenza stampa presso la propria sede di Ngaliema, a Kinshas, la Voce dei Senza Voce (VSV), un’ONG per la difesa dei diritti umani, ha chiesto alla comunità internazionale una netta condanna nei confronti del presidente ruandese Paul Kagame. Secondo l’associazione, sarebbe la principale condizione per porre fine alla situazione nell’Est della RDCongo. “Se la comunità internazionale si implicasse in modo più esplicito, tutto ciò che accade all’est finirebbe in breve tempo”, ha osservato Rostin Manketa. Tuttavia, la VSV raccomanda anche “l’apertura dello spazio democratico in Ruanda e un dialogo tra il presidente Kagame e le FDLR, suoi connazionali che seminano desolazione in un paese che non è loro”. L’ONG di difesa dei diritti umani, non ha tuttavia scagionato le autorità di Kinshasa che, secondo essa, non svolgono il proprio ruolo in modo efficace. L’Ong ha, infatti, richiamato l’attenzione sulla presunta complicità nel rischio della balcanizzazione del paese, a partire non solo da Kigali, ma anche dalla capitale congolese.

La Coalizione per i Grandi Laghi d’Africa chiede agli Stati Uniti di agire in fretta per porre fine all’instabilità nella Repubblica Democratica del Congo.

Un rapporto del gruppo degli esperti delle Nazioni Unite ha evidenziato l’appoggio del governo ruandese a gruppi ribelli che operano nella RDCongo.

Mentre il presidente Obama ha da lungo tempo riconosciuto che la RDCongo è destabilizzata da paesi vicini, la sua amministrazione non ha ancora intrapreso alcuna azione nei confronti di coloro che alimentano tale violenza. La necessità di ritenere i Paesi limitrofi responsabili delle guerre che hanno sconvolto la RDCongo, faceva parte dell’unica legge promossa da Obama nel 2006, quando era ancora senatore: la PL109-456.

L’articolo 105 della legge autorizza il Segretario di Stato americano a rifiutare l’aiuto ai governi dei paesi vicini accusati di destabilizzare il Congo. La Segretaria di Stato, Hillary Clinton, ha co-promosso questa legge. La recente diffusione di prove che dimostrano l’aggressione militare del Ruanda contro il Congo, richiede che si applichi tale legge.

Secondo i suoi statuti, il governo degli Stati Uniti dovrebbe sospendere ogni aiuto al bilancio militare del Governo ruandese, bilaterale e multilaterale, fino a che non cessi di fornire appoggi ai gruppi ribelli nella RDCongo.

Anche nel Regno Unito, oltre 20 membri del parlamento hanno aderito all’appello a sospendere gli aiuti finanziari al Ruanda, in seguito alla pubblicazione del rapporto delle Nazioni Unite che implica il Ruanda nell’appoggio ai ribelli in Congo.

Storicamente, le sanzioni economiche si sono dimostrate efficaci per fermare l’aggressione ruandese oltre confine. Alla fine del 2008, Svezia e Paesi Bassi avevano sospeso gli aiuti al Ruanda, dopo che erano emerse prove sul suo sostegno al gruppo ribelle del CNDP.

Vi chiediamo di unirvi alla coalizione per i Grandi Laghi d’Africa (Great Lakes of Africa Coalition) per esortare il governo degli Stati Uniti a prendere iniziative rapide e decisive in Congo.

Fate appello al Segretario di Stato Americano, HILLARY RODHAM CLINTON, affinché contribuisca a porre fine all’impunità nel Congo, attraverso l’applicazione dell’articolo 105 della legge “PL 109-456”.