SOMMARIO
EDITORIALE: Necessità di un dialogo paritario
1. UN GIORNO MOLTO AGITATO
a. Il comunicato congiunto dei ministri degli esteri congolese e ruandese
b. Le dichiarazioni del presidente ruandese, Paul Kagame
c. La lettera del ministro degli esteri congolese al presidente del Consiglio di Sicurezza
2. GLI STATI UNITI BLOCCANO UN RAPPORTO DELL’ONU SULL’APPOGGIO DEL RUANDA AI RIBELLI DI BOSCO NTAGANDA
3. LE RIVELAZIONI CONTENUTE NEL RAPPORTO DELL’ONU
4. LA PUBBLICAZIONE DEL RAPPORTO DELL’ONU
5. ALCUNE DICHIARAZIONI INTERNAZIONALI
EDITORIALE: NECESSITÀ DI UN DIALOGO PARITARIO
1. UN GIORNO MOLTO AGITATO
a. Il comunicato congiunto dei ministri degli esteri congolese e ruandese
Il 19 giugno, in visita a Kinshasa, la ministro degli Esteri ruandese, Louise Mushikiwabo, si è intrattenuta con il suo omologo congolese Raymond Tshibanda, prima di essere ricevuta dal Capo dello Stato, Joseph Kabila. All’incontro hanno partecipato anche i capi degli Stati Maggiori Generali degli eserciti e i capi dei servizi di sicurezza di entrambi i paesi.
Secondo un comunicato finale comune,
«Le due delegazioni hanno scambiato le informazioni sui problemi di sicurezza riscontrati nella regione e hanno preso in considerazione le preoccupazioni presentate da ciascuna delle due parti in relazione all’attuale situazione dell’Est della RDCongo.
Dopo una franca ed arricchente discussione, entrambe le delegazioni hanno riaffermato l’impegno di continuare a lavorare insieme per la pace, la stabilità e lo sviluppo della regione.
Si sono impegnate a far sì che i loro rispettivi territori non servano come base di destabilizzazione dell’uno o dell’altro.
Hanno inoltre concordato di rendere operativa la Commissione Mista di verificazione incaricata di indagare sui sospetti di un supporto esterno agli ammutinati e ad altri elementi opportunisti.
Le due parti hanno ribadito la necessità di ricercare soluzioni durature ai problemi di fondo che sono alla base dell’attuale insicurezza.
Hanno rinnovato la loro determinazione a proseguire gli sforzi per completare l’eradicazione del gruppo terroristico FDLR e di tutti gli altri gruppi armati attivi nella regione.
Un incontro di concertazione e di valutazione è previsto, a tal fine, il 28 giugno 2012, a Goma, tra i ministri della Difesa dei due paesi e i capi di Stato Maggiore Generali delle FARDC e delle RDF. Inoltre, entrambe le parti hanno espresso il desiderio di proseguire e di intensificare la collaborazione attuale, rivitalizzando tutti i meccanismi bilaterali di concertazione esistenti».
Dopo l’incontro con il presidente Joseph Kabila, Louise Mushikiwabo ha dichiarato alla stampa che si trova «ufficialmente nella RDCongo per un incontro tra le istituzioni della sicurezza e della diplomazia circa l’appoggio del Ruanda alla risoluzione della crisi dell’Est del Paese». A questo proposito, ha auspicato che si faccia la distinzione tra ciò che si dice e la realtà stessa e ha affermato: «Nelle ultime settimane, ci sono state tante voci ed è difficile a uscirne fuori. Siamo qui per dare il nostro appoggio, come paese vicino, agli sforzi di pace e di pacificazione della parte orientale della RDCongo». Mushikiwabo ha fatto capire che la sua visita a Kinshasa avrebbe lo scopo di offrire l’appoggio del Ruanda per risolvere la crisi del Kivu, attraverso la mediazione tra il governo congolese e gli ammutinati. Rifiutando di commentare le accuse di Kinshasa sul sostegno del suo paese ai ribelli del M23, Louise Mushikiwabo ha dichiarato che «l’opinione pubblica deve essere educata e deve capire che il Ruanda ha sempre lavorato per la pacificazione della regione dei Grandi Laghi».
«Si tratta, ha affermato, di una situazione certamente difficile, ma che è stato ben gestita dai presidenti Joseph Kabila e Paul Kagame». Secondo il ministro ruandese, dopo gli sforzi forniti da entrambi i paesi, non c’è ormai nessun problema impossibile da risolvere. Il ministro ruandese ha dichiarato, inoltre, che i presidenti Joseph Kabila e Paul Kagame sono regolarmente in contatto per le questioni che riguardano la situazione della sicurezza nella regione dei Grandi Laghi e che la parte ruandese si è impegnata ad assistere il più possibile la parte congolese negli sforzi per stabilizzare la sua zona orientale.
Secondo il ministro congolese degli Esteri, Raymond Tshibanda, la cosa più importante è stato il franco scambio di informazioni sul tema e ha affermato che «la cosa più importante per la parte congolese era che il governo ruandese potesse sapere che cosa, dal nostro punto di vista, maggiormente ci preoccupa».
Al di là del linguaggio diplomatico, Kinshasa non deve lasciarsi distrarre dal rituale protocollare e, questa volta, deve parlare ad alta voce contro la sua destabilizzazione ed esigere che l’appoggio offertogli dal Ruanda sia quello di richiamare in patria i suoi militari che combattono all’interno del M 23, piuttosto che quello di avvicinare il governo congolese agli ammutinati. Kinshasa dovrebbe cogliere l’occasione per chiedere che, dopo la partenza delle truppe ruandesi dal Nord Kivu, i Congolesi possano finalmente risolvere i loro problemi tra di loro, senza interferenze straniere.
b. Le dichiarazioni del presidente ruandese, Paul Kagame
Il 19 giugno, nel corso di una conferenza stampa a Kigali, il presidente ruandese Paul Kagame ha affermato la neutralità del Ruanda nella crisi del Nord Kivu e ha accusato la “comunità internazionale” di avere tentato di cacciare dal potere il presidente congolese Joseph Kabila.
Con rabbia o ironia, Paul Kagame ha ripetuto in tutti i toni: «Il Ruanda non è la causa dei problemi del Congo», aggiungendo che: «i problemi congolesi devono essere gestiti dai Congolesi stessi». Tuttavia, ha ribadito che «il problema del Ruanda è la presenza delle FDLR [Forze Democratiche di Liberazione del Ruanda, nota] nella parte orientale della RDCongo», precisando che «Se non si vuole che facciamo parte della soluzione, allora ci si dimentichi!». Chiaramente esasperato dalle accuse mosse da Kinshasa e dalla missione delle Nazioni Unite nella RDC, Kagame ha più volte smentito qualsiasi tipo di sostegno ai ribelli dell’Est della RDC.
In diverse occasioni, il presidente ruandese ha ribadito che l’attuale ammutinamento in corso nella regione del Nord Kivu, al confine con il Ruanda, non riguarda assolutamente il suo paese e che l’arresto del generale Jean Bosco Ntaganda, ex capo ribelle congolese ricercato dalla Corte Penale Internazionale (CPI), non è di sua competenza.
Il presidente ruandese si è scagliato anche contro la Monusco (Missione delle Nazioni Unite per la Stabilizzazione in RDCongo), descritta come “costosa e inutile” e la “cosiddetta comunità internazionale”, che egli accusa di ipocrisia nei confronti del presidente congolese Joseph Kabila. Egli ha affermato che «prima delle elezioni presidenziali congolesi, nel novembre2011, ella stava cercando un modo per sbarazzarsi di lui, mediante le elezioni o con altri mezzi», lasciando intendere che era stato consultato sull’argomento, proseguendo: «Alla fine è stato eletto e, qualunque siano le condizioni di questa elezione, si sono resi conto che non restava loro che accettare. In seguito, [la comunità internazionale, ndr] è venuta da me per dirmi che volevano arrestare Ntaganda, ma non volevano farlo senza il consenso del Ruanda […] E ora ci dicono responsabili di questa situazione!». Alla domanda circa l’identità di chi della “comunità internazionale” lo avesse contattato, ha rifiutato di rispondere, dicendo «Ho detto ciò che è possibile dire».
c. La lettera del ministro degli esteri congolese al presidente del Consiglio di Sicurezza
Il 19 giugno, per la prima volta e in modo chiaro, il governo congolese ha denunciato presso il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite l’implicazione di Kigali nella situazione di instabilità del Nord Kivu. In una lettera datata il 14 giugno e inviata a Li Baodong, presidente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, il ministro degli Esteri della RDCongo, Raymond Tshibanda, fa osservare che «informazioni provenienti da fonti diverse ma concordanti rivelano il sostegno di cui godono i ribelli del M23 a partire dal Ruanda l’esistenza, nello stesso paese, di una filiera di reclutamento di combattenti inviati nelle file del M23». Secondo il Ministro Raymond Tshibanda, i risultati delle investigazioni condotte permettono di concludere che:
«1. Tra gli ammutinati si sono trovati circa 200 – 300 miliziani reclutati sul territorio del Ruanda da parte di una rete attiva in quel paese vicino;
2. Vari combattenti così reclutati sono cittadini ruandesi infiltrati nella RDCongo; sono stati sottoposti ad un rapido addestramento militare e poi mandati al fronte contro le FARDC;
3. Tra loro, ci sono minorenni e dei giovani;
4. Se durante la fuga, gli ammutinati avevano abbandonato molte armi, 38 tonnellate recuperate dalle FARDC, la loro capacità in armi è decuplicata al loro arrivo nel triangolo di Runyonyi – Tshianzu – Mbuzi, nei pressi della linea di confine tra la RDCongo e il Ruanda.
5. Si sono formate nuove alleanze contro natura. Ad esempio, alcuni miliziani delle FDLR che erano stati rimpatriati in Ruanda dalla Monusco, sono ritornati in Congo per unirsi agli ammutinati, come dimostra la cattura di alcuni di loro sul fronte.
Da quanto precede, risulta che il territorio ruandese è servito per la preparazione e l’attuazione di una cospirazione che, dopo essere iniziata come un semplice ammutinamento, si sta pericolosamente evolvendo verso uno schema di rottura della pace tra due paesi della regione dei Grandi Laghi, rimettendo in causa i progressi compiuti in questo settore dal 2009 in avanti».
Per questo, il governo della RDCongo chiede al Consiglio di Sicurezza di:
«1) condannare il nuovo tentativo di ribellione guidata da ex militari del CNDP rinominato M23;
2) riaffermare l’inviolabilità della sovranità, dell’integrità territoriale e dell’indipendenza della RDCongo;
3) condannare gli abusi e le violazioni dei diritti umani e del diritto umanitario internazionale di cui sono vittime le popolazioni congolesi delle province del Kivu e renderne responsabili i membri del M23;
4) condannare l’appoggio esterno di cui beneficia il M23 e ritenere coloro che lo forniscono come solidalmente responsabili di tutti gli atti di violenza commessi da questo movimento;
5) ricordare al Ruanda i suoi obblighi internazionali ed esigerne il ritiro immediato e senza condizioni dei membri delle sue forze armate infiltrati nei ranghi della ribellione;
6) prendere le proprie responsabilità nei confronti delle disposizioni della Carta delle Nazioni Unite e delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza, per porre fine ad ogni tipo di sostegno esterno agli ammutinati;
7) adottare tutte le misure appropriate per porre fine all’attività di tutte le forze negative, comprese le FDLR, il CNDP e il M23».
Il 21 giugno, interrogato su ciò che ha spinto il governo congolese a rivolgersi al Consiglio di Sicurezza sulla questione del sostegno ruandese ricevuto dai ribelli della nuova ribellione del M23 quando, nello stesso giorno, a Kinshasa, il ministro degli Esteri congolese aveva firmato una dichiarazione congiunta con la Ministro degli Esteri del Ruanda, Lambert Mende, portavoce del governo congolese, ha dichiarato: «Nel corso della conferenza stampa tenuta a Kigali, lo stesso giorno 19 giugno, dal presidente ruandese Paul Kagame, sono state dette delle cose che non erano sempre in linea con le conclusioni della visita del suo ministro degli Esteri a Kinshasa, ciò che ha contribuito a creare una certa perplessità che giustifica il fatto che il Governo congolese abbia deciso di rivolgersi al Consiglio di Sicurezza già impegnato a ristabilire la pace e la sicurezza in questa parte del paese». Nello stesso tempo, Lambert Mende ha confermato l’esistenza di «filiere di reclutamento di forze negative che causano insicurezza nelle due province del Kivu a partire dal Ruanda» e ha ripetuto che «il Ruanda è da ritenere responsabile del mantenimento di questi canali di reclutamento sul suo territorio».
Il 22 giugno, nel corso di una conferenza stampa a Kinshasa, il coordinamento della società civile del Nord Kivu ha chiesto al governo congolese di garantire l’unità nazionale e di impedire, con tutti i mezzi possibili, la balcanizzazione del Paese. Questa istituzione civica ha anche chiesto alla comunità internazionale di «sospendere tutti gli aiuti al Ruanda, al fine di costringerlo a contribuire alla stabilità della regione e di optare per una politica di buon vicinato». Il coordinamento della società civile del Nord Kivu raccomanda al governo congolese di non attribuire connotazioni tribali all’attuale conflitto armato in corso nella provincia, in quanto «le cause sono ruandesi». Nello stesso tempo, il coordinamento raccomanda al governo di ricercare e mantenere buoni rapporti con il Ruanda, attraverso “una diplomazia attiva”. La società civile chiede al governo di garantire il sostegno necessario alle truppe impegnate sul fronte e di accelerare la riforma dell’esercito, della polizia e dei servizi di sicurezza. Ai deputati nazionali, il coordinamento chiede di interpellare il governo in modo costante sulla situazione d’insicurezza delle province del Kivu. Ha infine condannato l’impunità di cui godono certe personalità che sono alla base dell’instabilità nell’Est del Paese.
2. GLI STATI UNITI BLOCCANO UN RAPPORTO DELL’ONU SULL’APPOGGIO DEL RUANDA AI RIBELLI DI BOSCO NTAGANDA
Human Right Watch (HRW), un’organizzazione per la difesa dei diritti umani, accusa Washington di volere bloccare la pubblicazione di un rapporto delle Nazioni Unite sulla ribellione guidata da Bosco Ntaganda, il M23.
Nel corso della loro inchiesta, gli esperti delle Nazioni Unite hanno raccolto varie prove di un sostegno del Ruanda ai ribelli del M23, all’Est della RDCongo. L’inchiesta riguarda anche il mancato rispetto, da parte del Ruanda, dell’embargo delle Nazioni Unite sulla fornitura di armi ai ribelli. Secondo alcune fonti prossime al gruppo degli esperti dell’Onu, il rapporto contiene informazioni dettagliate su varie consegne di armi ai ribelli, a partire dal Ruanda. Sembrerebbe che il generale Ntaganda e i suoi collaboratori effettuino frequenti viaggi di andata e ritorno tra i due paesi, violando così le sanzioni imposte dalle Nazioni Unite. Human Rights Watch ha accusato Washington di aver usato la sua influenza per impedire la pubblicazione del rapporto e ha affermato che «Gli Stati Uniti e altri membri del Consiglio di sicurezza, devono fare tutto quanto è in loro potere per far luce sulle violazioni delle sanzioni decretate dalle Nazioni Unite, senza tentare di nasconderle». Da parte loro, gli Stati Uniti smentiscono di volere bloccare il rapporto.
Anche la RDCongo, tramite il suo ambasciatore presso le Nazioni Unite, Ileka Atoki, ha accusato gli Stati Uniti di tentare di impedire la pubblicazione del rapporto del gruppo degli esperti delle Nazioni Unite, nell’intento di proteggere Ruanda. Il rapporto contiene, in allegato, la testimonianza di ufficiali ruandesi che descrivono in dettaglio il sostegno del loro paese a certi gruppi armati (CNDP incluso) e ai ribelli del M23, nel Nord e Sud Kivu. Secondo diverse fonti, gli Stati Uniti hanno tentato, se non di bloccare, almeno di ritardare la pubblicazione del rapporto per proteggere il Ruanda.
Vari osservatori si chiedono sul perché, a New York, gli USA si oppongono alla pubblicazione integrale del rapporto sull’implicazione del Ruanda nella questione dell’insicurezza che prevale all’Est della RDCongo. Secondo il vice portavoce della missione Usa presso le Nazioni Unite, Payton Knopf, «gli Stati Uniti non bloccano il rapporto del gruppo degli esperti dell’Onu sulla RDC. In una riunione della commissione per le sanzioni delle Nazioni Unite, gli Stati Uniti hanno posto un numero significativo di domande su tale rapporto. Con gli altri membri della commissione, lo stiamo esaminando attentamente e continueremo a discutere sulle sue implicazioni, una volta che sia reso pubblico. Gli Stati Uniti stanno studiando con attenzione le informazioni presentate dagli esperti, per preparare l’incontro del Consiglio di Sicurezza, previsto per il 26 giugno».
Si spera che la sorte di questo rapporto non sia la stessa del “Rapporto Mapping” pubblicato nel 2010 dalla Commissione per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, un rapporto colmo di testimonianze sul saccheggio delle risorse minerarie congolesi e sulle gravi violazioni dei diritti umani perpetrati da militari membri dell’esercito ruandese e di gruppi armati creati e strumentalizzati dal Ruanda. Questo Paese dovrebbe essere stato severamente condannato per aver pianificato un vero e proprio genocidio umano e lo sfruttamento illegale di risorse minerarie sul territorio congolese. Invece, le Nazioni Unite hanno dovuto fare marcia indietro e sopprimere i passaggi più scabrosi per il regime di Kigali, per non perdere la partecipazione delle truppe ruandesi alle forze di “mantenimento della pace” in Darfur. Questa volta, quale sarà il nuovo ricatto di Kigali?
L’opposizione alla pubblicazione del rapporto riflette la collusione tra Washington e Kigali sul progetto di balcanizzazione della RDCongo. Il parallelismo è facile e non sarebbe esagerato dire che le maschere sono ormai cadute circa i responsabili e corresponsabili dei milioni di morti e di sfollati congolesi, con il fine di fare esplodere il Congo e far mano bassa sulle sue abbondanti risorse naturali. Che Washington decida ora di bloccare la pubblicazione di tale rapporto lascia pensare che potrebbe essere parte nel progetto di balcanizzazione del Congo, la cui esecuzione è stata affidata al regime di Kigali. In nome della lotta contro gli Hutu “genocidari” fuggiti nella RDC per volontà della comunità internazionale, Kigali si sente abilitata a effettuare regolari incursioni in territorio congolese e ad agirvi come in un paese conquistato. Dopo inchieste e analisi, i diversi rapporti commissionati dalle Nazioni Unite hanno portato a una sola conclusione: la guerra nell’Est della RDCongo è di natura essenzialmente predatoria. In questi rapporti, varie multinazionali anglo-sassoni sono specificamente individuate, senza che i governi dei loro paesi le sanzionino minimamente. L’ora della verità è giunta sui veri responsabili della crisi umanitaria nell’Est della RDCongo.
3. LE RIVELAZIONI CONTENUTE NEL RAPPORTO DELL’ONU
Secondo appunti presi nel corso di una riunione a porte chiuse del Comitato delle sanzioni delle Nazioni Unite e che Reuters ha potuto consultare, gli esperti delle Nazioni Unite sono in possesso di prove secondo cui il Ministro della Difesa del Ruanda e due ufficiali ruandesi hanno fornito un appoggio ai ribelli del movimento del M23. Nel corso della riunione del comitato delle sanzioni delle Nazioni Unite del 13 giugno, a New York, si è detto che il gruppo degli esperti delle Nazioni Unite sono in possesso di prove secondo cui dei militari ruandesi sono entrati in territorio congolese per rafforzare le postazioni dei ribelli, hanno fornito loro un supporto logistico e hanno permesso al capo ribelle Bosco Ntaganda e ai suoi miliziani di mettersi in salvo in Ruanda. Secondo le note prese durante tale incontro, «gli esperti hanno citato diversi alti ufficiali ruandesi direttamente implicati». Gli ufficiali ruandesi citati sono il Ministro della Difesa James Kaberebe, il Capo di Stato Maggiore dell’esercito, Charles Kayonga e il generale Jacques Nziza, consulente militare di Paul Kagame. Secondo tali note, James Kaberebe è «in costante contatto con il M23».
La RDCongo è vittima di una nuova aggressione i cui reali mandanti si trovano a Kigali, con una molto probabile implicazione diretta del presidente Paul Kagame. Le conclusioni del rapporto trilaterale Kinshasa-Kigali-Monusco e di quello degli esperti delle Nazioni Unite inviati all’Est della RDCongo e in Ruanda, non lasciano alcun dubbio.
Tutto comincia il 1° aprile 2012, quando il comandante Saddam e un piccolo gruppo di ex combattenti del CNDP integrati nel FARDC secondo gli accordi di marzo 2009 disertano l’esercito. Queste prime diserzioni coincidono con altre a Goma, Beni, Rutshuru, Kiwanja (nel Nord Kivu) e a Fizi, Kalehe e Uvira (nel Sud Kivu). Non si tratta di fatti isolati. La loro strana simultaneità spinge lo Stato Maggiore Generale delle FARDC e i servizi di sicurezza congolesi a sospettare l’esistenza non solo di una coordinazione unica del movimento, ma anche e soprattutto di una mano nera. Vari dettagli rafforzano questa comprensione. La procedura è identica: diserzione seguita da un ammutinamento. Gli autori sono gli stessi: degli ex militari del CNDP. I loro capi appartengono in maggioranza ad una stessa comunità: i Tutsi.
Gli insorti agiscono sotto il comando del generale Bosco Ntaganda. Dopo il ritiro, in seguito a un incidente aereo a Kisangani, del generale Amuli, comandante delle operazioni militari nel Kivu, Ntaganda, che era il suo vice, era rimasto a capo di tutto. Aveva il controllo sulle truppe, sulla logistica e sull’amministrazione militare. Da quando la CPI ha riaperto il mandato d’arresto internazionale emesso contro di lui da agosto 2006, ha potuto organizzarsi per spostare una grande riserva d’armi nella sua fattoria e in altri luoghi sicuri. Nello stesso tempo, Ntaganda organizzava riunioni segrete a Goma, in cui chiedeva sostegno e protezione ai suoi più stretti collaboratori militari. È sotto le sue precise istruzioni che l’ammutinamento militare è stato preparato su diversi fronti. Ma Ntaganda non é solo! Ha i suoi padroni! Ha numerosi e potenti appoggi esterni!
Le autorità militari congolesi affermano di avere le prove del contributo dei membri della famiglia biologica di Ntaganda per l’acquisto in Ruanda e l’invio di farmaci al fronte, nelle province del Kivu. Esse possono anche dimostrare che il colonnello Ruzangiza, alias Sultani Makenga, e i suoi 60 compagni sono stati aiutati dalla marina ruandese per attraversare il fiume Ruzizi, a Bukavu, e raggiungere Cyangugu. Secondo le testimonianze di tre collaboratori di Ruzangiza, catturati a Jomba dalle FARDC, le autorità di Kigali hanno messo a loro disposizione uniformi dell’esercito ruandese (RDF), che hanno indossato prima di rientrare in RDCongo attraverso la frontiera di Kigini.
Le autorità militari congolesi segnalano anche la testimonianza del Maresciallo dell’esercito ruandese (RDF), Etienne Ntakirutimana che, secondo la sua dichiarazione fatta poche ore dopo la sua cattura a Mbuzi, era arrivato a Runyonyi ai primi di maggio, per preparare “l’arrivo degli ammutinati”. Ntakirutimana ha dichiarato che il suo gruppo, inizialmente composto da 80 elementi, aveva ottenuto un rinforzo di 150 militari dell’esercito ruandese (RDF) il 9 giugno, precisando che questi militari appartengono alla 305ª Brigata comandata dal generale RDF Gashahiza. Quest’ultimo avrebbe inviato nella RDCongo un battaglione sotto la guida dall’ex-FAR Modeste. Ormai, la RDCongo chiede tre segnali forti da parte della Comunità Internazionale: la pubblicazione integrale, compresi tutti gli annessi, del rapporto degli esperti delle Nazioni Unite sulla questione dell’ammutinamento dei militari del CNDP, una pubblica e decisa condanna dell’agire di Kagame e l’applicazione di sanzioni esemplari nei confronti del Ruanda.
Secondo il parere del gruppo degli esperti delle Nazioni Unite, è il generale James Kabarebe in persona che supervisiona le operazioni del gruppo armato conosciuto come M 23 nell’Est del paese, in collaborazione con il Capo di Stato Maggiore dell’esercito ruandese, Charles Kayonga, e il generale Jacques Nziza, consigliere militare del presidente Paul Kagame.
La RDCongo si trova di fronte non a una ribellione, come si è pensato finora, ma ad una vera aggressione ruandese, guidata da ufficiali e militari ruandesi e mascherata sotto l’etichetta del CNDP del generale Bosco Ntaganda, un militare ruandese presentato come tale dalla Corte penale internazionale. Ciò che sta accadendo nel Nord Kivu risponde a un pianificato schema di destabilizzazione delle istituzioni della RDCongo e di balcanizzazione del suo territorio. L’architetto di questo piano machiavellico non è altro che il vicino Ruanda.
Il M 23 (Movimento del 23 marzo 2009) è un semplice diversivo del generale Bosco Ntaganda, che vuol far credere che si tratta di un nuovo movimento ribelle nel Nord Kivu. In realtà, si tratta di un gruppo che dipende dal CNDP comandato finora da lui stesso che è, a sua volta, agli ordini dei suoi capi nascosti a Kigali.
In passato, era l’esercito del RCD (Raggruppamento Congolese per la Democrazia) che serviva da paravento per i militari ruandesi che si erano infiltrati nelle FARDC fin dai tempi dell’AFDL (Alleanza delle Forze Democratiche per la Liberazione del Congo). Oggi, questo ruolo è svolto dal CNDP (Congresso Nazionale per la Difesa del Popolo). Le successive defezioni dall’esercito nazionale, sia nel Nord Kivu che nel Sud Kivu, rappresentano, in realtà, il ritorno dei militari ruandesi, che si presentavano come Congolesi, al loro ambiente naturale.
L’etichetta M.23 è stata inventata per permettere ai militari ruandesi infiltrati e integrati in passato nelle FARDC e che non hanno potuto seguire Ntaganda nella sua fuga verso il parco dei Virunga, di giustificare le loro vere-false diserzioni e coprire, nello stesso tempo, i rinforzi in uomini, armi, munizioni e denaro provenienti dal Ruanda. In sintesi CNDP e M 23 sono la stessa cosa.
Ciò che va notato, e che costituisce anche un fatto molto grave, è la scoperta della vera identità di chi era integrato nell’esercito nazionale congolese sotto l’identità di Sultani Makenga. Questo falso congolese, nominato da lungo tempo come ufficiale superiore delle FARDC nel Sud Kivu, in realtà è un Ruandese conosciuto con il nome di Ruzangiza. Si era già notato che, durante il suo soggiorno a Bukavu, era sempre circondato da una guardia del corpo composta di 60 militari, tutti ruandesi. Ruzangiza è diventato… Sultani Makenga, un nome che potrebbe suggerire un’origine Katangese o del Kasaï. Rimasto in costante contatto con Bosco Ntaganda, è partito da Bukavu con le sue 60 guardie per il “fronte” del Nord Kivu, evacuato a bordo di imbarcazioni provenienti dal Ruanda.
Si apprende anche che i soldati ruandesi catturati dalle FARDC e che hanno ammesso di essere stati reclutati in Ruanda da un mandriano, di nome Sibomana, erano in realtà dei militari destinati alla brigata del generale ruandese Gashahiza, le cui truppe sono particolarmente visibili “sul fronte” di Runyoni.
I combattenti ruandesi che si trovavano con Bosco Ntaganda, dopo essere stati cacciati dalla sua fattoria a Mushaki, dalle FARDC e aver preso la via del Parco dei Virunga, hanno dovuto chiedere l’aiuto del comandante delle Fdlr, un certo Mandefu, che li ha accompagnati attraverso sentieri, colline e valli, per consentire loro di fuggire in Ruanda, perché non conoscevano la via del ritorno. A proposito di Mandefu, è registrato come principale fornitore di Bosco Ntaganda in minerali (diamanti, oro, coltan, cassiterite), in cambio di denaro, armi e munizioni. Per il generale, attingere alle scorte di armi delle Fardc, per soddisfare le richieste del comandante militare delle FDLR, è stato un gioco da ragazzi perché, finora, ha avuto pieni poteri come numero 2 del programma “Amani leo” nel Nord Kivu. Paul Kagame e i suoi luogotenenti, che hanno trasformato le FDLR in fondo di commercio, dovrebbero spiegare ai Congolesi come mai, messi in fuga dalle FARDC, i loro militari hanno fatto ricorso al comandante di un gruppo armato considerato come una minaccia continua per il loro regime e il loro paese.
Si è anche appreso che le autorità ruandesi hanno rinviato in RDCongo, sia sotto l’etichetta delle FDLR che del CNDP, degli ex-miliziani Interahamwe smobilitati e rimpatriati dalla MONUC e MONUSCO. L’obiettivo sarebbe quello di sbarazzarsene a qualsiasi costo, rinviandoli nel Kivu, sia per farli morire sul “fronte”, sia per seminare violenza nella RDCongo, sia per appoggiare le varie ribellioni create a cicli regolari. L’aggressione di cui è vittima la RDCongo da parte del Ruanda ha rivelato che il movimento ribelle ruandese, presuntamente anti-Kagame, le FDLR, è controllato dallo stesso James Kabarebe, ministro della Difesa ruandese.
Il popolo congolese deve essere più che mai vigile per salvare il Congo, ora in grave pericolo di essere destabilizzato dal Ruanda.
4. LA PUBBLICAZIONE DEL RAPPORTO DELL’ONU
Il 21 giugno, il gruppo degli esperti delle Nazioni Unite hanno presentato il loro rapporto sulla situazione della RDCongo. Come previsto, non è stata resa pubblica la sezione relativa all’appoggio esterno al M23, ma il documento riporta molte informazioni e dettagli interessanti. Omessa la parte relativa agli aiuti esterni di cui gode il M23, il rapporto del gruppo degli esperti dell’ONU è stato reso pubblico lo stesso 21 giugno. Non vi è alcuna traccia degli elementi di prova di cui sarebbero in possesso gli esperti delle Nazioni Unite sulla presunta implicazione dei tre più alti responsabili della difesa ruandese nella questione dell’ammutinamento del M23. Il rapporto, tuttavia, presenta in modo dettagliato le origini e la composizione del M23 e le conseguenze del loro ammutinamento.
Le origini dell’ammutinamento.
Secondo il rapporto, la paura del generale tutsi Bosco Ntaganda davanti a un suo imminente arresto e il timore di molti ex comandanti del Cndp di “perdere i privilegi connessi ai loro posti di comando e alle loro destinazioni” sono le principali cause dell’ammutinamento. Il documento precisa che, approfittando della pressione internazionale sul caso Ntaganda, Kinshasa voleva “indebolire le catene di comando parallele mantenute all’interno delle FARDC dagli ex militari del CNDP sin dagli accordi del 2009” e, contemporaneamente, mettere fine al “trattamento preferenziale degli ex ufficiali del CNDP nelle province del Kivu”. Si era programmato una serie di riforme e di misure di re-distribuzione sul territorio nazionale che erano state spiegate agli ufficiali in un seminario tenutosi in marzo. È stato dopo questo annuncio di riforme previste che Bosco Ntaganda ha istigato il primo episodio di ammutinamento nel Sud Kivu.
Il rapporto afferma che, se “all’inizio dell’ammutinamento il colonnello Makenga ha avuto un ruolo piuttosto discreto”, ben presto, però, si è unito al General Ntaganda, prima di maggio e, quindi, prima della creazione del M23. Secondo le FARDC ed ex ufficiali del CNDP, “oltre ad assicurare il comando dell’ammutinamento nel Sud Kivu, il colonnello Makenga aveva fornito un appoggio anche agli ammutinati del Nord Kivu”. Il rapporto chiarisce ulteriormente il collegamento tra i due ammutinamenti. “Secondo alcuni ex ufficiali del CNDP, il colonnello Makenga, pur cercando di distanziarsi dalla questione del mandato di arresto contro il generale Ntaganda, aveva orchestrato l’ammutinamento per obbligare il governo a rinunciare alla ridistribuzione degli ufficiali del CNDP in altre province del territorio nazionale e a mantenerli nei loro posti di comando all’interno dell’esercito. Il colonnello Makenga era preoccupato per la questione del trasferimento di potere all’interno del CNDP, nel caso in cui il generale Ntaganda fosse stato arrestato, e temeva che il governo imponesse il colonnello Gahizi a capo dell’ex gruppo armato, il CNDP”.
Appoggi e finanziamenti per l’ammutinamento.
Il rapporto constata dei contatti tra il M23 e l’ex comandante del CNDP, il generale Laurent Nkunda, attualmente agli arresti domiciliari (?) a Kigali. Secondo il rapporto, “alcune personalità politiche del Nord Kivu e vari ex ufficiali del CNDP hanno indicato che il generale Nkunda aveva incoraggiato i capi del CNDP delle province del Kivu a disertare dai loro posti e ad unirsi al M23”. Gli ammutinati avrebbero finanziato le loro operazioni impossessandosi degli stipendi destinati a varie unità militari e di altri fondi stanziati per l’esercito, rubando in diverse banche, e imponendo imposte e tasse sulle persone civili e sulle merci.
Il M23 accusato di arruolare bambini soldato.
“Il gruppo ha confermato che, in aprile e maggio 2012, i comandanti del M23 nel Nord Kivu hanno reclutato molti bambini come portatori e combattenti”. Il rapporto cita diverse testimonianze di giovani arruolati dai ribelli.
Le conseguenze dell’ammutinamento sulle FDLR.
Secondo il rapporto delle Nazioni Unite, “a causa della sospensione delle operazioni contro di loro”, le FDLR hanno approfittato dell’ammutinamento per riprendere un certo numero di posizioni abbandonate dalle FARDC, perse alla fine del 2011 e all’inizio del 2012, in seguito ad operazioni militari condotte congiuntamente dall’esercito congolese e la Monusco.
Il 25 giugno, il Ruanda ha formalmente smentito presso le Nazioni Unite le accuse inoltrate dalla RDCongo, sull’appoggio di Kigali al M 23. Il ministro degli Esteri ruandese, Louise Mushikiwabo, parla di una «guerra di parole» che mira a fare del Ruanda il capro espiatorio dei problemi della RDCongo. La Ministro degli Affari Esteri ruandese si è recata alle Nazioni Unite per denunciare una campagna di disinformazione. Il Ruanda, afferma, non fornisce alcun appoggio a nessun gruppo armato attivo nella parte orientale della RDCongo e smentisce la presenza di militari ruandesi con gli ammutinati del M23.
Louise Mushikiwabo afferma: «Da un lato e dall’altro della frontiera, ci sono persone che parlano la stessa lingua. Non si può dire chi è ruandese e chi non lo è. Trovare persone che parlano la stessa lingua del Ruanda in questa parte del Congo è del tutto normale». Una guerra di parole che porta alla violenza, ha detto Louise Mushikiwabo: «In alcuni media prossimi al governo congolese, si parla di cacciare i Ruandesi e uccidere i Tutsi. Questo fatto ricorda la retorica del 1994 precedente al genocidio e il Ruanda vigila con attenzione su tali dichiarazioni».
Come sa fare bene, il Ruanda sta ora cercando di discolparsi, davanti al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, di tutti i crimini che ha commesso e continua a commettere nella RDCongo. Spera di riuscirci, brandendo l’argomento preferito, quello del genocidio che, dal 1994, strumentalizza a suo favore ogni qual volta che qualcuno osa denunciare i suoi crimini commessi nella RDCongo.
Il 27 giugno, in un comunicato, la ministro ruandese degli Affari Esteri, Louise Mushikiwabo, ha affermato che è “profondamente deplorevole” che la “frenesia mediatica” sulla presunta implicazione del Ruanda nella ribellione in corso nell’Est della RDCongo abbia condotto alla pubblicazione di un rapporto intermedio delle Nazioni Unite su tale questione. “Si tratta di un documento preliminare e parziale, fondato su conclusioni parziali e che deve essere ancora verificato”, ha aggiunto. La ministro ha inoltre dichiarato di avere “intenzione di fornire prove precise che confermino che le accuse portate contro il Ruanda sono false” e di sperare che la smentita ruandese appaia nel rapporto finale delle Nazioni Unite, atteso per novembre.
5. ALCUNE DICHIARAZIONI INTERNAZIONALI
Il 25 giugno, riunito a Lussemburgo, il Consiglio degli Affari Esteri dell’Unione Europea (UE) ha adottato le seguenti conclusioni:
«1. L’UE segue con preoccupazione il deterioramento della sicurezza e della situazione umanitaria nella parte orientale della RDCongo, condanna l’ammutinamento e la ripresa dei combattimenti nel Nord Kivu e invita tutti i paesi della regione a cooperare attivamente con le autorità congolesi per sconfiggere il gruppo M23 e tutti gli altri gruppi armati. L’Unione è preoccupata per le recenti segnalazioni di appoggio esterno agli ammutinati, in violazione delle sanzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Chiede che tali informazioni siano oggetto di un’approfondita inchiesta.
2. L’UE esorta i partner della regione, in particolare la RDCongo e il Ruanda, a proseguire il dialogo per potere porre fine, il più rapidamente possibile, alla violenza e giungere ad una soluzione politica duratura».
Il 25 giugno, commentando la situazione dell’Est della RDCongo, il ministro britannico per l’Africa, Henry Bellingham, ha dichiarato: «Il governo del Regno Unito è sempre più preoccupato per la situazione della parte orientale della RDCongo, in particolare per le accuse di sostegno estero fornito ai ribelli del M23. A questo proposito, il Regno Unito afferma ad alta voce che nessun governo straniero dovrebbe sostenere il M23 o qualsiasi altro gruppo armato».
Il 26 giugno, il ministro congolese degli Affari Esteri, Raymond Tshibanda, ha incontrato il ministro degli esteri belga, Didier Reynders, a Bruxelles. Per quanto riguarda il sostegno del Ruanda al M 23, il ministro belga ha dichiarato di aver inviato dei “messaggi molto chiari” a Kigali, sul fatto che gli ammutinati non devono ricevere alcun aiuto esterno e che il Ruanda dovrebbe essere “parte della soluzione e non del problema”. Infatti, secondo il ministro, «si tratta di favorire il dialogo con Kinshasa e di dimostrare con prove che non appoggia gli ammutinati». Didier Reynders auspica che tra la RDCongo e il Ruanda prevalga questa volontà di dialogo, per risolvere definitivamente il problema della ribellione nel Nord Kivu.