SOMMARIO
INTRODUZIONE
1. RICHIESTO IL CARCERE A VITA PER VICTOIRE INGABIRE UMUHOZA
2. CONTINUA IL CALVARIO PER GIORNALISTI E POLITICI DELL’OPPOSIZIONE
3. ATTENTATO DEL 06.04.1994: LE LOBBY PRO-KAGAME FANNO DI TUTTO PER DISCOLPARLO
4. DUE PETIZIONI PER LA LIBERAZIONE DI VICTOIRE INGABIRE
INTRODUZIONE
Malgrado la lunga serie di arresti, processi e condanne, il popolo ruandese continua a lottare per la libertà, la verità, la giustizia e la democrazia, quattro valori fondamentali che rendono possibile la riconciliazione e la pace.
Victoire Ingabire Umuhoza in prigione da ottobre 2010 in Ruanda, non è stata dimenticata dai suoi amici e sostenitori. Sempre di più, viene paragonata ad un’altra donna coraggiosa, Aung San Suu Kyi, conosciuta in tutto il mondo per la sua lotta pacifica contro la dittatura implacabile. Victoire Ingabire Umuhoza dà prova della stessa determinazione ne volere ristabilire lo stato di diritto e la democrazia. Come Aung San Suu Kyi di Rangoon, ella è convinta che, un giorno, il popolo ruandese riuscirà a mettere fine all’arbitrario e alla dittatura.
1. RICHIESTO IL CARCERE A VITA PER VICTOIRE INGABIRE
Il 16 aprile, Victoire Ingabire Umuhoza ha annunciato all’Alta Corte di Kigali che «boicotterebbe tutte le future udienze», perché «ha irrimediabilmente perso la fiducia nella possibilità di un buon svolgimento del suo processo». La decisione è stata presa per «la persistente mancanza di equità sin dall’inizio del processo», a causa delle continue intimidazioni (minacce, interrogatori e perquisizioni illegali) subite dai testimoni e avvocati della difesa. Victoire Ingabire ha chiesto ai suoi avvocati di assecondare questa sua decisione e di non partecipare più a questo «miserabile circo».
Il procuratore ha ribadito che “le presunte intimidazioni contro i testimoni della difesa” non sono una ragione sufficiente per ritirarsi e che sarebbe costretta a comparire in tribunale, anche se continuasse a voler boicottare le udienze. Il procuratore ha aggiunto che, in caso di necessità, potrebbe essere nominato un nuovo avvocato per rappresentarla in sua assenza.
La goccia che ha fatto traboccare il bicchiere è il rifiuto, da parte della Corte, il lunedì, 16 aprile 2012, di ascoltare Michel Habimana, ex portavoce delle FDLR, che la difesa aveva chiamato a testimoniare circa le intimidazioni cui sono soggetti i testimoni della difesa. La Corte ha rifiutato di ascoltarlo su questo argomento e gli ha ordinato di uscire dall’aula.
L’11 aprile, chiamato davanti alla Corte, questo testimone della difesa aveva completamente rimesso in causa la credibilità del testimone principale dell’accusa, il “Maggiore” Vital Uwumuremyi. Secondo la testimonianza di Michel Habimana, che ha conosciuto Vital Uwumuremyi in carcere, costui collabora con i servizi segreti ruandesi e, nel 2009, aveva già tentato di reclutarlo, per redigere insieme, per conto del regime ruandese, un fascicolo di false accuse contro Victoire Ingabire.
Nella sua dichiarazione dinanzi alla Corte, Victoire Ingabire ha dichiarato:
«I crimini di cui sono accusata sono molto gravi. Si tratta di istigazione al genocidio e di ribellione contro il governo mediante atti di terrorismo e di guerra. Quando le autorità mi accusano di crimini così gravi e i testimoni a mia difesa sono oggetto di intimidazioni, quale giudice oserebbe pronunciare una sentenza contraria alle accuse mosse contro di me dal potere? Tale verdetto sarebbe accettato dal potere? Specialmente quando anche i giudici stanno subendo le stesse intimidazioni esercitate contro i testimoni a mia difesa. In un colloquio con il procuratore l’8 aprile 2011, egli mi disse chiaramente che sono stata incarcerata perché avevo intenzione di istituire un potere hutu, cosa di cui i Tutsi avevano paura. Secondo lui, questo era inaccettabile. Sono stata incarcerata perché avevano l’impressione che avrei sollevato la popolazione contro il governo.
Vorrei ribadire che non sono tornata al mio paese per alienare qualcuno dei suoi diritti, non sono tornata al mio paese per causare problemi, non sono tornata al mio paese per compiere fare atti di terrorismo o fare la guerra. Mai nel nostro programma abbiamo sostenuto l’uso delle armi per cambiare l’attuale regime. Tutto ciò non fa parte del nostro programma. Sono tornata al mio paese perché l’amo e desideravo lavorare con altri Ruandesi per uno sviluppo fondato sulla democrazia. Questo è il percorso che ci siamo fissato all’interno del mio partito, le FDU. So che è un processo lungo che richiede coraggio e altruismo e chiedo ai membri delle FDU di seguire questa strada.
Ho deciso di non continuare questo processo e chiedo ai miei avvocati di non rappresentarmi più, perché mi rendo conto che non otterrò giustizia. Non mi presenterò più davanti alla Corte e chiedo ai miei avvocati di fare altrettanto, perché ho constatato che il potere ha paura che io sollevi il popolo contro di lui. Sarebbe inutile presentare prove a mio favore, se il potere non è convinto che io, Victoire Ingabire, non voglio sollevare il popolo contro di lui. Tutto ciò che farei sarebbe inutile».
Sin dall’inizio del processo, la difesa ha rilevato molte irregolarità. Ma invano. Si può osservare, tra l’altro, che il procuratore ha fatto ricorso a leggi non retroattive per fatti che si sono verificati prima della loro emanazione e ha proceduto ad un imprevisto cambiamento dell’atto di accusa, quando la procedura era già in corso, per non parlare del non rispetto dei tempi previsti dalla legge per la consegna di atti giudiziari agli avvocati della difesa. Il procuratore ha, inoltre, inventato e prodotto illegalmente alcune prove, come ad esempio messaggi di posta elettronica scambiati tra l’accusata e dei testimoni.
Durante il processo, la collusione tra l’accusa, i testimoni e i giudici è stata una costante. La difesa non ha avuto diritto a contro-interrogare i testimoni dell’accusa, senza dimenticare che l’Esecutivo ha sempre interferito nel processo e ha sempre violato il principio di presunzione di innocenza, ecc. Davanti al silenzio della Corte circa la continuità di questi fatti, Victoire Ingabire Umuhoza non ha avuto altra scelta che constatare l’impossibilità di continuare a tollerare una simile parodia di giustizia. Aspetterà coraggiosamente il verdetto nella sua cella e continuerà a proclamare la sua innocenza.
Il 25 aprile, il pubblico ministero ruandese ha chiesto una condanna all’ergastolo per Victoire Ingabire. Il verdetto finale dovrebbe essere reso noto il 29 giugno. Presidente delle Forze Democratiche Unificate (FDU), partito politico di opposizione non riconosciuto dal regime di Kigali, Victoire Ingabire era tornata in Ruanda nel gennaio 2010, dopo 17 anni di esilio in Olanda. Complicità in atti di terrorismo e diffusione dell’ideologia genocidio, settarismo e divisionismo, attentato contro la sicurezza interna dello Stato, creazione di un gruppo armato con l’intenzione di provocare una guerra: sono queste sono le accuse portate contro Victoire Ingabire da ottobre 2010. Victoire Ingabire, che sin dall’inizio del processo nega tutte le accuse formulate contro di lei e che, il 16 aprile, aveva annunciato all’Alta Corte di Kigali di avere “definitivamente perso la fiducia nella possibilità di uno svolgimento giusto del processo” e di avere, quindi, deciso di “boicottare tutte le udienze future”, era volontariamente assente dall’aula, volendo dimostrare la sua assoluta disapprovazione nei confronti della maniera in cui si sta svolgendo il suo processo.
Il Segretario Generale delle FDU, Boniface Twagirimana, ha affermato di non essere sorpreso da tale atto d’accusa, perché “l’obiettivo del governo del Ruanda è quello di porre fine all’impegno di Victoire Ingabire a favore della democrazia”. Egli ritiene che l’esito del processo in prima istanza sia già prevedibile perché, secondo lui, “in Ruanda non c’è alcuna differenza tra accusa e giudici e l’atto d’accusa della procura è stato né più né meno che un ordine emesso dal potere esecutivo”.
Da parte sua, l’avvocato di Victoire Ingabire, Iain Edwards, ha dichiarato che aspetterà “con interesse” il verdetto finale, aggiungendo che si sta già preparando ad “avviare un inevitabile ricorso in appello”. Nemmeno Iain Edwards era presente in aula durante la lettura dell’atto d’accusa.
2. CONTINUA IL CALVARIO PER GIORNALISTI E POLITICI DELL’OPPOSIZIONE
Il 5 aprile, due giornaliste ruandesi, Uwimana Nkusi e Saidath Mukakibibi, che dal 30 gennaio 2012 compaiono davanti alla Corte Suprema di Kigali per il loro processo in appello, sono state condannate rispettivamente a quattro e tre anni di carcere, per “mettere in pericolo la sicurezza dello Stato” e “aver diffamato il presidente Paul Kagame”. Nel febbraio 2011, erano state condannate rispettivamente a diciassette e sette anni di carcere, principalmente per “negazione di genocidio, divisionismo, diffamazione del presidente Kagame, minaccia contro la sicurezza dello Stato e incitamento alla disobbedienza civile”. L’accusa aveva chiesto una condanna a 33 anni per Nkusi e 12 anni per Mukakibibi. La loro condanna aveva creato forti proteste da parte delle organizzazioni per la difesa dei diritti umani e della stampa. Condannate ingiustamente, le due giornaliste sono ormai diventate il simbolo della crescente repressione contro i giornalisti indipendenti del Ruanda. Va ricordato anche che Jean Leonard Rugambage, direttore di Umuvugizi, fu assassinata davanti al suo domicilio il 24 giugno del 2010, verso le 23h00, quando stava conducendo un’inchiesta sul tentativo di assassinio del generale Kayumba Nyamwasa, avvenuto pochi giorni prima in Sud Africa e in cui il regime era stato sospettato di esserne il mandante. Anche Charles Ingabire fu brutalmente ucciso nella notte dal 30 novembre al 1° dicembre 2011, in un sobborgo di Kampala, dove aveva trovato rifugio in seguito a molteplici minacce .
Il 27 aprile, la Corte Suprema del Ruanda ha confermato la condanna a quattro anni di reclusione pronunciata contro Bernard Ntaganda, uno dei principali leader dell’opposizione ruandese. Bernard Ntaganda, Presidente Fondatore del PS-Imberakuri, l’unico vero partito di opposizione attualmente riconosciuto dal regime del FPR attualmente al potere in Ruanda, è stato condannato per “mettere in pericolo la sicurezza dello Stato” e per “divisionismo”.
Daniel Bekele, direttore della divisione Africa presso Human Rights Watch, ha dichiarato che «l’arresto di Ntaganda e le accuse portate contro di lui erano, fin dal principio, di carattere politico» e che «la detenzione di un politico dell’opposizione solo per aver criticato le politiche dello stato non è assolutamente legittima in una società democratica».
Bernard Ntaganda era stato arrestato il 24 giugno 2010, in seguito ad una manifestazione organizzata dalla piattaforma di opposizione ruandese composta dal Partito Socialista-Imberakuri, il Partito Democratico dei Verdi e le FDU-Inkingi ma repressa con la violenza. Organizzata poche settimane prima delle elezioni presidenziali, la manifestazione voleva denunciare i molti ostacoli che il regime poneva ai partiti di opposizione che volevano presentare un loro candidato alle elezioni presidenziali.
In un comunicato del 27 aprile, l’associazione per la difesa dei diritti umani Human Rights Watch ha ricordato che, oltre ai giornalisti e ai membri dei partiti di opposizione, i cui arresti o processi sono più o meno coperti dai mass media, «altre persone meno in vista sono state arrestate e condannate per aver criticato le politiche dello Stato». L’associazione cita l’esempio di padre Emile Nsengiyumva, un sacerdote di Rwamagana, nella parte orientale del Ruanda, che sta scontando 18 mesi di prigione, per essere stato accusato di «mettere in pericolo la sicurezza dello Stato e avere istigato la popolazione alla disobbedienza civile». Il sacerdote era stato arrestato nel dicembre 2010, per avere criticato alcune politiche del governo, tra cui il progetto “Bye Bye Nyakatsi”, un progetto che prevede la distruzione di case con tetti di paglia e la costruzione di casette più durabili. In una sua omelia, padre Emile Nsengiyumva aveva denunciato la distruzione delle “Nyakatsi” senza proporre dapprima una soluzione provvisoria di alloggio. Aveva anche parlato contro il progetto di vasectomia, una campagna di pianificazione familiare lanciata dal governo con l’obiettivo di sterilizzare “700.000 uomini entro tre anni”, in vita di rallentare la crescita della popolazione.
Il 9 maggio, un partito dell’opposizione ruandese in esilio, il Patto di Difesa del Popolo (PDP-Imanzi), ha accusato le autorità carcerarie ruandesi di mantenere in isolamento e di vietare le visite a Deogratias Mushayidi, presidente del partito, condannato all’ergastolo per aver “messo in pericolo la sicurezza dello Stato”. Il PDP ha denunciato il fatto che, “senza aver commesso alcun atto di indisciplina, Deogratias Mushayidi è stato posto in isolamento fin dal suo arrivo, il 26 aprile, alla prigione di Mpanga, dove è privato di qualsiasi contatto con gli altri detenuti e non gli è permesso alcun tipo di visite e di attività”, aggiungendo che “la sua vita è in pericolo”. Paul Rwarakabije, ex comandante delle FDLR e ora direttore delle carceri ruandesi, ha contestato queste informazioni e ha dichiarato a Radio Ruanda che Deo Mushyayidi continua a ricevere visite nei giorni previsti.
Deogratias Mushayidi, presidente del PDP-Imanzi, è in carcere dal marzo 2010, data in cui fu sequestrato in Burundi e rimpatriato in Ruanda. Egli è stato condannato all’ergastolo dall’Alta Corte di Giustizia del Ruanda il 17 settembre 2010, per averlo ritenuto colpevole di “reclutamento di una ribellione contro il regime del presidente Paul Kagame”, un’accusa che ha sempre categoricamente smentito, affermando che le accuse portate contro di lui sono politicamente motivate. Ruandese tutsi, che ha perso molti membri della sua famiglia durante il genocidio, è un ex membro del Fronte Patriottico Ruandese (FPR) del presidente Kagame. Prima di diventare giornalista, aveva lavorato presso la segreteria generale del FPR. Dal 1996 al 2000, è stato presidente dei giornalisti ruandesi. Divenne poco a poco critico nei confronti del regime. Minacciato, andò in esilio in Belgio, dove ha continuato a denunciare gli eccessi autoritari del FPR guidato da Paul Kagame. È stato arrestato in Tanzania, deportato a Bujumbura in Burundi e poi sequestrato, nel marzo 2010, dai servizi segreti ruandesi che lo hanno condotto in Ruanda.
3. ATTENTATO DEL 06.04.1994: LE LOBBY PRO-KAGAME FANNO DI TUTTO PER DISCOLPARLO
Il 31 maggio, il quotidiano francese “Libération” ha rivelato il ritrovamento di un documento delle Nazioni Unite, secondo il quale, alla vigilia del genocidio del 1994, l’esercito ruandese era in possesso di missili di origine russa e, soprattutto, di quindici missili Mistral di fabbricazione francese, di cui era ancora vietata la vendita a Paesi terzi. Il documento, una lista – inventario d’armi redatto il mattino del 6 aprile 1994, rivela la presenza di questi missili terra – aria, di fabbricazione francese, negli arsenali dell’esercito ruandese ed è stato consegnato ai giudici Marc Trevidic e Nathalie Poux, responsabili dell’inchiesta sull’attentato, la sera di quello stesso 6 aprile 1994, contro l’aereo dell’allora presidente ruandese, Juvenal Habyarimana. Secondo Libération, il documento potrebbe riaprire il dibattito sui responsabili dell’attentato del 6 aprile. Infatti, se l’attentato contro l’aereo presidenziale è l’elemento che ha innescato il genocidio, come è già da tutti riconosciuto, l’identità degli autori materiali dell’attentato e dei loro complici potrebbe necessariamente incidere sulla lettura degli eventi.
È stato nel corso di una ricerca storica, che Linda Melvern, una giornalista inglese, si è imbattuta, quasi per caso, su questo documento trovato negli archivi delle Nazioni Unite come allegato ad un altro rapporto. Perché è così importante? Perché, dal 1994, ex ufficiali ruandesi accusati dal Tribunale Penale Internazionale per il Ruanda hanno sempre affermato che nessuno di loro potrebbe essere implicato nell’attentato contro l’aereo presidenziale, perché l’esercito ruandese non disponeva di missili. Le autorità francesi, che hanno a lungo li hanno sostenuti, addestrati ed equipaggiati, hanno seguito lo stesso ragionamento: nessuna arma, nessun crimine possibile. Allora, a che cosa servivano questi missili Mistral negli arsenali dell’esercito ruandese?
Secondo Bernard Lugan, si tratta di una nuova manipolazione messa in atto dai sostenitori europei del regime di Kigali. Infatti:
«1) Il documento in questione è noto a tutti gli specialisti già da anni. È stato ampiamente studiato, analizzato, criticato e poi definitivamente scartato dal TPIR a causa della sua inconsistenza.
2) Le informazioni che sono alla base di questo documento emanano dall’organizzazione umanitaria Human Rights Watch che, all’epoca, era una delle casse di risonanza delle tesi del FPR.
3) È da questa informazione di HRW che il capitano Sean Moorhouse, Ufficiale G2 (Intelligence) dell’UNAMIR, ha scritto questa nota, che si limita a ripetere una delle molte voci che circolavano in quel momento a Kigali. L’informazione su questi missili era, peraltro, da lui ritenuta come improbabile.
4) Da allora, che lo stesso ufficiale ha lungamente spiegato il significato della nota, in modo particolare agli “investigatori” ruandesi che hanno redatto il “Rapporto Mutsinzi”.
5) Nel 2011, in una lettera indirizzata all’esperto belga Filip Reyntjens, il capitano Sean Moorhouse ha spiegato la genesi di questo documento, evidenziando il suo carattere del tutto artificiale.
6) Tutte le armi delle FAR, al di fuori dell’equipaggiamento individuale, erano state poste sotto sequestro da parte delle forze delle Nazioni Unite ed erano depositate in un capannone di Kanombe sotto la responsabilità del colonnello belga Luc Marchal, Vice del Generale canadese Romeo Dallaire. Abbiamo l’elenco dettagliato di queste armi. Non c’erano missili. Il giorno dopo l’attentato, avendo il FPR unilateralmente ripreso le ostilità, le FAR ripresero le loro armi con la forza, per resistere agli attacchi del FPR. Il caso era già chiaro, ora si tratta di una nuova manovra. Facendo pressione su Parigi, il regime di Kagame tende ora un nuovo ricatto, per ottenere l’archiviazione dell’inchiesta del giudice francese Marc Trévidic in cambio della cessazione della campagna anti-francese da parte di Kigali».
In seguito al documento “rivelato” da Maria Malagardis, del quotidiano Libération, secondo il quale, nel 1994, l’esercito ruandese disponeva, fra altri, di missili MISTRAL di fabbricazione francese, il colonnello belga Luc Marchal, che era comandante dei Caschi Blu della MINUAR, nel settore di Kigali, è categorico: le FAR non disponevano di missili di tipo MISTRAL. Ecco la sua reazione:
«Vorrei dire tre cose:
1. Il capitano Sean MOORHOUSE che ha redatto il rapporto in questione, non faceva parte della MINUAR al momento dell’attentato. È solo molto più tardi che egli arrivò sul posto. Infatti, faceva parte della MINUAR 2, istituita l’8 giugno 1994, due mesi dopo l’inizio del genocidio.
2. Il documento è stato redatto dopo il genocidio, sulla base di informazioni ‘non verificate’ provenienti da Human Rights Watch e che si sono rivelate infondate.
3. È ovvio che se le FAR avessero avuto dei SAM di tipo MISTRAL, non avrei potuto non saperlo. Inoltre, era semplicemente stupido avere dei missili terra – aria, perché ciò richiedeva una catena logistica e un’infrastruttura adeguata per l’addestramento, ciò che non era il caso. Occorre sapere che, per essere capaci di lanciare un missile, occorre un addestramento molto regolare su simulatore, nel caso in cui non si possa procedere a lanci reali. Ma questo tipo di infrastrutture non esisteva! A coloro che avanzano la tesi che i missili fossero stati nascosti fuori della zona di consegna delle armi, rispondo che un tale argomento non regge, perché tutti gli organi di decisione si trovavano a Kigali (incluso il battaglione del FPR) e quindi, se l’esercito ruandese avesse avuto dei missili in qualche luogo, sarebbe stato proprio nella capitale e non altrove. Inoltre, ricordo che le FAR avevano posizionato, all’aerodromo di Kanombe, 6 cannoni antiaerei di tipo cinese, per difendere (???) il loro spazio aereo (ma senza munizioni). Questo dispiegamento era stato negoziato e autorizzate dalla MINUAR. È evidente che se le FAR avessero avuto un sistema d’armi più moderno, sarebbe stato quello che avrebbero richiesto di poter dispiegare e non dei vecchi tubi obsoleti».
Il Professor Reyntjens ha avuto una corrispondenza con l’interessato. L’ufficiale è formale. Ha scritto al professor Reyntjens: «Non ho mai redatto la lista di armi ritenute in possesso delle FAR. L’ho ereditata». E spiega poi che non dà molto credito all’affidabilità di quella lista. Suggerisce, inoltre, che i Mistral sono stati aggiunti successivamente. Qui di seguito il messaggio inviato dal professor Reyntjens sulla rete dei gruppi di discussione sulla regione dei Grandi Laghi il 1° giugno 2012: «Il documento “rivelato” da Maria Malagardis è vecchio, noto da tempo e, soprattutto, privo di ogni rilevanza. Si tratta di una delle informazioni fornite da Human Rights Watch.
Copio qui sotto un estratto di una email inviata a me un anno fa dal capitano Sean Moorhouse, ufficiale G2 (servizi segreti) della MINUAR II, fonte di queste “informazioni”:
«Per quanto riguarda la questione del possesso di missili SA da parte delle FAR: non ho scritto l’elenco delle armi di cui si sospetta che le FAR fossero in possesso. L’ho ereditato. La MINUAR era un’entità così disfunzionale che non so’ nemmeno da dove provenisse quella lista. Non c’erano mezzi a disposizione per verificare l’esattezza (o meno) di quella lista di armi. Ciò è stato detto chiaro a Human Rights Watch in quel momento. Mentre sono sicuro che Alison Des Forges avesse capito quante voci infondate circolassero in quel periodo, i suoi assistenti, invece, hanno potuto esserne facilmente influenzati. Non mi viene in mente nessun altro motivo per il quale i missili Mistral siano apparsi sulla lista delle armi.
Il Ruanda è stato (e spesso lo è ancora) la terra dalle mille voci, di solito infondate e impossibile da giustificare. Tutti i miei commenti fatti agli investigatori sono sempre stati preceduti dall’avvertenza che non era possibile dire con certezza chi avesse abbattuto l’aereo o da quale luogo.
Alla fine del 1994, a Kigali c’era una rete informale di funzionari dei servizi segreti. Io stesso ne facevo parte stesso, insieme ad altri ufficiali militari e alcuni funzionari diplomatici. Quella rete non faceva parte della MINUAR. È stata quella rete informale che è arrivata alla conclusione secondo cui, in base alle voci predominanti, lo scenario più probabile era che l’aereo fosse stato abbattuto da missili lanciati dalla zona del Campo di Kanombe.
Si prega di notare che è semplicemente su questo che si è arrivati a pensare che quello fosse “lo scenario più probabile”, cioè sulla base di niente più che voci e speculazioni. In assenza di qualsiasi prova, nessuno della rete avrebbe mai affermato che si trattasse di un’ipotesi che potesse essere difesa in qualche modo. L’ho spiegato anche agli investigatori del Rapporto Mutsinzi.
La funzione dei servizi segreti militari all’interno della MINUAR 2 erano semplicemente ridicoli. Non avevo alcuna equipe, raramente un veicolo, e mi era stato proibito di assumere personale. Questi fattori, combinati con l’assenza di mezzi tecnici, ha fatto sì che prevalessero le voci e le speculazioni».
La giornalista che ha fatto la famosa “scoperta” segnala che il documento era stato allegato ad uno studio risalente al 1° settembre 1994 e dal titolo: «L’ex esercito ruandese. Capacità e intenzioni». In quel periodo, le FAR erano già state sconfitte e si erano già disperse nell’ex Zaire. Secondo Emmanuel Neretse, la “giornalista ricercatrice” britannica, Linda Melvern, nel suo desiderio di accusare le FAR e mettere in imbarazzo la Francia, sembra dimenticare che, nell’ambito dell’attuazione degli accordi di pace di Arusha, Kigali era stata decretata come area di consegna delle Armi («Kigali Weapons Secure Area» – KWSA).
In quella zona, tutte le armi pesanti dovevano essere registrate e conservate da agenti della MINUAR. Anche i depositi d’armi dell’intero presidio di Kigali-Kanombe erano, quindi, sotto il controllo della MINUAR. La polizia militare e le FAR, quando dovevano prendere delle armi per le loro missioni quotidiane, dovevano prenderle sotto il controllo di agenti della MINUAR. Il comandante del settore Kigali, responsabile dunque della KWSA era il colonnello belga Luc Marchal. In altre parole, era su di lui che incombeva la responsabilità di fare gli inventari delle armi che si trovavano all’interno della KWSA, era lui che doveva prendere tutte le misure per far rispettare le direttive relative alla KWSA, era lui che doveva far pervenire i rapporti al livello superiore, cioè al comandante della forza, il generale canadese Romeo Dallaire. Tuttavia, in tutti i suoi rapporti, compresi quelli sull’inventario delle armi a disposizione delle FAR, il colonnello Marchal non ha mai accennato a dei missili, e tanto meno a dei missili francesi Mistral, o a luoghi in cui fossero conservati. Una delle due cose: o il generale Dallaire ha inviato a New York un inventario inventato da zero (non redatto dai suoi uomini sul posto), o tale inventario non è mai esistito.
L’ex ministro ruandese della Difesa, James Gasana, autore di “Ruanda: dal Partito-Stato allo Stato-
guarnigione”, ed. L’Harmattan, 2002, ha inviato una lettera ai giudici istruttori francesi, Marc Trevidic e Nathalie Poux, in cui ha smentito l’esistenza di missili terra-aria Mistral nelle mani delle forze dell’esercito governativo nel 1994. In una lettera inviata ai giudici, Gasana afferma:
«Le forze armate ruandesi (FAR) non avevano né missili terra-aria, né persone addestrate nell’uso di quei missili. A mia conoscenza, prima del 16 aprile 1992, quando sono stato nominato ministro della Difesa, nessun militare delle FAR era stato addestrato all’uso di missili anti-aerei. Nessun militare delle FAR è stato formato per questo, mentre ero titolare di questo Ministero (16 aprile 1992 – 20 luglio 1993). Durante quel periodo, non ho mai pensato per un attimo che le FAR avessero bisogno di acquistare dei missili antiaerei terra – aria e, in effetti, nessuna richiesta in tal senso mi fu presentata da parte dello Stato Maggiore. Sin dall’inizio della guerra nell’ottobre del 1990, la difesa antiaerea sofisticata non è mai stata una preoccupazione del Ruanda, perché la ribellione del FPR non ha mai effettuato alcun combattimento aereo. In una situazione di grandi difficoltà di bilancio che il governo doveva affrontare in quel tempo di guerra, le FAR non potevano dotarsi di un armamento anti-aereo che non avrebbero utilizzato contro una guerriglia che non aveva né aerei, né elicotteri.
Dall’ottobre 1990, il FPR aveva dei missili terra – aria e disponeva di persone addestrate per usarli. La prova inconfutabile che il FPR possedeva dei missili antiaerei terra-aria è che li ha utilizzati tre volte, con successo, per abbattere un aereo e degli elicotteri delle FAR: il 07/10/1990, il FPR ha abbattuto con un missile terra-aria SAM-7 un aereo di ricognizione di tipo Islander, nel Mutara, vicino alla frontiera con l’Uganda. Sono morti calcinati nell’aereo, il comandante Augustin Ruterana e il tenente Anatole Havugimana, rispettivamente pilota e copilota. Il 23/10/1990, il FPR ha abbattuto con un missile terra-aria SAM-7 un elicottero a Nyakayaga, comune di Murambi. L’elicottero era pilotato dal capitano Jacques Kanyamibwa (sopravvissuto). Il co-pilota, il capitano Javan Tuyiringire è morto bruciato all’interno del velivolo. Il 13/02/1993, il FPR ha abbattuto con un missile SAM-7 un elicottero Ecureuil, nel comune di Cyeru, uccidendo il pilota, il capitano Silas Hategikimana che stava effettuando una missione di rifornimento.
Vorrei anche sottolineare che nell’agosto del 1992, due ufficiali egiziani, un americano e un ugandese sono stati arrestati all’aeroporto di Orlando, in Florida (Stati Uniti d’America), quando stavano per imbarcare per l’Uganda, illegalmente, un carico d’armi, tra cui dei lanciamissili. Il capitano ugandese arrestato sul fatto è Innocent Bisangwa, vice segretario privato del presidente Yoweri Museveni e cognato del defunto maggiore Bayingana del FPR. In quell’epoca, ne feci rapporto al governo ruandese».