SOMMARIO
EDITORIALE: Come annientare gli obiettivi e le strategie di un’occupazione.
1. LA SITUAZIONE MILITARE E UMANITARIA SUL POSTO
2. GLI INCONTRI A LIVELLO REGIONALE
3. LE DICHIARAZIONI DEL GOVERNO USA E DEL CONSIGLIO DI SICUREZZA
4. KIVU, UNA GUERRA CHE POTREBBE DURARE A LUNGO
5. IL MODUS OPERANDI DEL RUANDA, DEI SUOI ALLEATI E DI ALTRI
COLLABORAZIONISTI
6. PERCHE IL RUANDA NON VUOLE LASCIARE L’EST DELLA RDCONGO
EDITORIALE: COME ANNIENTARE GLI OBIETTIVI E LE STRATEGIE DI UN’OCCUPAZIONE
1. LA SITUAZIONE MILITARE E UMANITARIA SUL POSTO
L’11 giugno, a Kinshasa, il Comitato di coordinamento delle Nazioni Unite per gli Affari Umanitari (OCHA) ha dichiarato che, tra il 1° aprile e il 31 maggio 2012, sono stati registrati quasi 218.000 nuovi sfollati, in seguito al deterioramento della situazione di sicurezza nel Nord Kivu.
Dall’11 giugno sera, gli abitanti di cinque località (Gikoro, Mutingo, Bunagana, Cheya e Rubona), del raggruppamento di Jomba, a Rutshuru, sono rimasti senza acqua potabile. I responsabili dell’amministrazione locale accusano i ribelli del Movimento del 23 marzo (M23) di aver volontariamente distrutto la tubazione dell’acquedotto che alimenta queste località. Il responsabile dell’informazione presso la Monusco a Goma ritiene che il sabotaggio sia un atto criminale di guerra intollerabile.
Il 14 giugno, verso le 3h00 del mattino, le forze del Movimento del 23 marzo (M23) provenienti dalle colline di Runyonyi hanno attaccato le FARDC a Rutsiro, Ngonkwe e Kanombe, nella zona di Bweza e Kisigari (Nord Kivu). I ribelli hanno occupato le postazioni delle FARDC a Rutsiro e Ngonkwe, a circa 5 km dal campo militare di Rumangabo. Un ufficiale delle FARDC ha affermato che l’intenzione dei ribelli era di prendere il campo Rumangabo, un’importante base militare. La stessa fonte aggiunge che “le FARDC si starebbero organizzando per riconquistare le posizioni perdute”.
Il 17 giugno, i ribelli del Movimento del 23 marzo (M23) hanno preso le località di Tarika, Ruseke e Murambi, nei pressi di Tamungenga, nella zona di Bweza, a circa 17 km a est di Rutshuru centro (Nord-Kivu). Fonti locali indicano che le FARDC avevano attaccato la posizione dei ribelli verso la collina di Rukaranga, con l’obiettivo di riconquistare le posizioni perse dal 14 giugno. Secondo diverse fonti, l’esercito non è riuscito a respingere i ribelli dalle loro posizioni di Rutsiro e Rwanguba, nella zona di Bweza, una ventina di chilometri a est di Rutshuru-centro, sulla strada di Bunagana.
Il Ruanda continua a smentire qualsiasi sua implicazione nel conflitto che oppone l’esercito regolare congolese e gli i militari ammutinati del M23, che si sono ritirati proprio in prossimità della frontiera con il Ruanda. E intanto, dal lato congolese, si continua ad accumulare prove dell’implicazione ruandese. Fonti congolesi affermano che, il 27 maggio, il generale Bosco Ntaganda è stato visto all’interno del campo militare ruandese di Kinigi, presso il confine e la zona occupata dal M23. Sarebbe stato visto in compagnia con il generale ruandese Alex Kagame, numero tre dello Stato Maggiore Generale dell’esercito nazionale ruandese. Inoltre, i Ruandesi reclutati per conto del M23 sono stati raggruppati, prima di attraversare la frontiera, in un edificio appartenente all’Ufficio ruandese del Turismo e dei Parchi Nazionali, un ente statale. È vero che c’è una commissione d’inchiesta congiunta congolo-ruandese, ma i Ruandesi non hanno finora autorizzato l’accesso a quei siti in cui si realizza il raggruppamento e l’addestramento dei giovani inviati al fronte congolese.
2. GLI INCONTRI A LIVELLO REGIONALE
Il 13 giugno, a Goma (Nord Kivu), i dodici Stati membri della Conferenza Internazionale sulla Regione dei Grandi Laghi (CIRGL) hanno inaugurato le attività del centro di scambio delle informazioni comuni. L’obiettivo è di condividere le informazioni utili per la lotta contro i gruppi armati, il terrorismo e lo sfruttamento illegale delle risorse naturali della regione. Il centro ha la sua sede a Goma. A questa cerimonia hanno partecipato i capi dei servizi segreti, ufficiali militari e autorità politiche dei paesi membri. Alcuni osservatori hanno manifestato il loro scetticismo e si chiedono «chi trarrà maggiori vantaggi da questo centro di scambio di informazioni? Che viene a fare in questo centro un paese vicino che invade la RDCongo, se non è per infiltrarsi maggiormente per continuare le sue operazioni di destabilizzazione dell’Est della RDCongo? È un modo per dare ufficialmente al Ruanda la possibilità di accedere a tutte le strategie intraprese dalla RDCongo?». Secondo altri, per l’efficacia di questo centro, si dovrebbe escludere il Ruanda che continua a fomentare l’insicurezza nella regione dei Grandi Laghi. Per loro, il Ruanda non è sincero nelle relazioni diplomatiche.
La RDCongo ha lanciato un’intensa attività diplomatica presso i paesi vicini, per denunciare, in modo implicito, l’appoggio ruandese ai ribelli del M23 all’Est del Paese. Un comunicato stampa del ministero degli Esteri non cita esplicitamente il Ruanda. Parla piuttosto di un paese limitrofo, un paese la cui implicazione nel deterioramento della sicurezza all’Est della RDCongo è stata confermata. Il ministro degli esteri congolese, Raymond Tchibanda, si è recato in Tanzania, Burundi, Uganda e Angola, per denunciare il sostegno fornito da questo paese vicino al M23, una ribellione fomentata all’inizio di aprile dalle milizie ex-CNDP, un movimento esso stesso sorto sulle ceneri dell’ex ribellione filo-ruandese del RCD.
3. LE DICHIARAZIONI DEL GOVERNO USA E DEL CONSIGLIO DI SICUREZZA
L’11 giugno, in visita a Goma (Nord Kivu), l’Ambasciatore americano James F. Entwistle ha espresso la volontà del governo degli Stati Uniti a sostenere le FARDC contro i ribelli del M23. «Sosteniamo gli sforzi [fatti dal governo congolese e i suoi partner] nella lotta contro il M23. Qualsiasi governo del mondo ha il dovere di sconfiggere le forze ribelli», ha affermato il diplomatico degli Stati Uniti nel suo discorso alle autorità congolesi. Le dichiarazioni di James Entwistle confermano la posizione del suo governo espressa attraverso un comunicato stampa del 7 giugno, a Washington. «Sosteniamo gli sforzi del governo congolese per scoraggiare ulteriori diserzioni e consegnare alla giustizia quei militari ammutinati responsabili di violazioni dei diritti umani, tra cui lo stesso Bosco Ntaganda», si legge nella dichiarazione rilasciata da parte dell’ufficio del portavoce della Casa Bianca.
Il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha condannato l’ammutinamento militare del M23 e si è detto vivamente preoccupato per il deterioramento della situazione di insicurezza e di crisi umanitaria che ha provocato ingenti movimenti di sfollati e rifugiati. Chiede inoltre un’inchiesta sul sostegno esterno di cui godono i gruppi armati nella parte orientale della RDCongo. Il testo adottato dal Consiglio di Sicurezza è un messaggio implicito inviato al Ruanda. Questo paese non è esplicitamente menzionato, ma i membri del Consiglio ritengono “credibili” le informazioni sull’implicazione di paesi esteri nell’appoggio ai gruppi armati attivi nella provincia del Kivu. Un difensore dei diritti umani, Kitenge Dimas, ha affermato che il Consiglio di Sicurezza dovrebbe condannare il Ruanda in modo chiaro. Egli ha precisato che «dal momento in cui ci sono sempre più prove della presenza di truppe ruandesi nel Kivu, è molto importante che la comunità internazionale possa tenere un linguaggio chiaro e fermo nei confronti di tutti quei paesi, tra cui il Ruanda, che vogliono impedire la pace».
Tale inchiesta sull’appoggio estero ai gruppi armati dovrebbero essere condotta dalle Nazioni Unite nella RDC, dal momento che qualche decina di militari si sono arresi e consegnati alla Missione di Stabilizzazione delle Nazioni Unite RDCongo, la Monusco, a Goma. Ma Roger Meece, il rappresentante speciale del Segretario Generale delle Nazioni Unite, si è per ora rifiutato di dire se si tratta di militari ruandesi o meno. Così si è espresso: «Non spetta a me confermarlo. Siamo ancora in attesa dei risultati di alcune verifiche. Ma posso dire che sì, ci sono alcuni che si sono arresi alla Monusco o alle FARDC dicendo che sono Ruandesi».
Il 16 giugno, in un comunicato ufficiale, i membri del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite hanno espresso, a New York, la loro «forte preoccupazione circa gli ultimi sviluppi della situazione nella regione del Kivu e il deterioramento della sicurezza e della situazione umanitaria che ha provocato ingenti movimenti di sfollati e di rifugiati». Per il solo periodo dal 10 al 20 maggio 2012, la violenza perpetrata nella provincia del Nord Kivu ha costretto più di 40.000 civili a fuggire dalle loro case. «Condanniamo con forza l’ammutinamento degli ufficiali e dei soldati che erano stati formalmente integrati nelle forze armate della RDCongo e che attualmente operano nella provincia del Nord Kivu come gruppo armato denominato M23», si afferma nel documento letto dal rappresentante permanente cinese delle Nazioni Unite, Li Baodong, il cui paese assicura la presidenza del Consiglio di Sicurezza per il mese di giugno. I membri del Consiglio di Sicurezza hanno «condannato con fermezza i massacri di civili (…) da parte di gruppi armati, comprese le Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR)» e «tutti gli atti di violenza sessuale».
Nella loro dichiarazione, i membri del Consiglio di Sicurezza «sostengono gli sforzi del governo congolese per smobilitare i gruppi armati, scoraggiare ulteriori defezioni, arrestare e perseguire coloro che violano i diritti umani, tra cui Bosco Ntaganda». Chiedono, inoltre, ai paesi della regione di “cooperare attivamente” con la RDCongo per smobilitare tutti i gruppi armati, compreso il Movimento del 23 marzo (M23), e di «impedire loro di ricevere un appoggio esterno che va contro le misure di sanzioni delle Nazioni Unite, compreso l’embargo sulle armi».
L’ammutinamento innescato dal generale Bosco Ntaganda e dai suoi uomini è sostenuto da Kigali. Poco importa la forma. Che si tratti di un invio di militari, o di un appoggio logistico, o di un sostegno passivo, permettendo il reclutamento di nuove leve e facilitando, in tal modo, un’infiltrazione in territorio congolese. Tutto questo si chiama aggressione. Dirlo è individuare la fonte della permanente instabilità dell’Est della RDCongo. Su tale questione, la popolazione è unanime: i ripetuti attacchi contro il Kivu sono organizzati e pianificati a partire dal Ruanda. Tutti sanno che il governo ruandese usa la continua instabilità della RDCongo come strategia per la sua prosperità economica. Perché dunque ci si limita, come fanno il ministro congolese Raymond Tshibanda e il Consiglio di Sicurezza, a dire che l’ammutinamento di Bosco Ntaganda è appoggiato da un “paese limitrofo”, astenendosi dal nominare chiaramente il Ruanda come “paese aggressore” e trarne tutte le conseguenze? Il Ruanda deve essere nominato e considerato come aggressore della RDCongo. Spetta ai Congolesi stessi gridarlo da tutti i tetti.
4. KIVU, UNA GUERRA CHE POTREBBE DURARE A LUNGO
A pilotare l’ammutinamento del M23 sono soprattutto degli alti ufficiali delle FARDC, nominati per decreto dal Capo dello Stato Joseph Kabila, secondo l’accordo di pace del 23 marzo 2009.
Si tratta di:
1. Colonnello MAKENGA SULTANI, Coordinatore del M23
2. Colonnello INNOCENT ZIMURINDA
3. Colonnello INNOCENT KAHIMA
4. Colonnello MBONEZU
5. Colonnello BAUDOUIN NGARUYE.
Sono tutti citati dalle Ong locali come autori di violazioni dei diritti umani, commesse già prima del loro ammutinamento.
Diverse sono le cause della continua insicurezza nel Nord e Sud Kivu, tra altre: il malcontento generato dall’accordo del 23 marzo 2009, tra il governo congolese e il CNDP. Un altro accordo era stato firmato, sempre nel marzo 2009, tra il Governo e gli altri gruppi armati. Generalmente, i capi di questi ultimi gruppi non sono mai stati promossi a gradi superiori o a posti di comando, a differenza di quelli del CNDP che sono stati lautamente ricompensati. La tabella ripresa qui di seguito, in cui sono elencati i nomi degli ufficiali superiori e la loro provenienza, rivela il disagio avvertito da questi gruppi armati nei confronti del CNDP.
N° | Nome e Cognome | Grado ottenuto | Periodo | Destinazione | Provenienza |
1 | ALBERT KAHASHA | Colonnello | Gennaio 12 | Beni | Mundundu 40 |
2 | SERAPHIN MIRINDI | Colonnello | Gennaio 12 | Goma | CNDP |
3 | GAHIMANA | Colonnello | Aprile 12 | Rutshuru | CNDP |
4 | NDAYISABA | Colonnello | Aprile 12 | Rutshuru | CNDP |
5 | MUHIRE | Colonnello | Aprile 12 | Rutshuru | CNDP |
6 | MUTONI | Colonnello | Aprile 12 | Masisi | CNDP |
7 | NTAMBWE | Colonnello | Aprile 12 | Masisi | CNDP |
8 | NZABANITA | Colonnello | Aprile 12 | Sud-Kivu | CNDP |
9 | BERNARD BYAMUNGU | Colonnello | Aprile 12 | Sud-Kivu | CNDP |
10 | SAMUEL NSABIMANA | Colonnello | Aprile 12 | Sud-Kivu | CNDP |
11 | SADDAM RINGO | Colonnello | Aprile 12 | Sud-Kivu | CNDP |
12 | TOUSSAINT MUHINDO | Lt Colonnello | Aprile 12 | Sud-Kivu | CNDP |
13 | NGABO | Lt Colonnello | Aprile 12 | Sud-Kivu | CNDP |
14 | BAUDOUIN NGARUYE | Colonnello | Aprile 12 | Sud-Kivu | CNDP |
15 | INNOCENT ZIMULINDA | Colonnello | Aprile 12 | Sud-Kivu | CNDP |
La lista contiene solo colonnelli e i tenenti colonnelli, per non parlare dei maggiori e ufficiali di rango inferiore. Alcuni degli alti ufficiali citati sopra, sono già stati arrestate e condotti dinanzi alla giustizia militare (il Col. Bernard Byamungu, il Col. Samuel Nsabimana e il tenente colonnello Muhindo Toussaint).
Da oltre due mesi, si registrano violenti scontri tra l’esercito congolese, da una parte, e gli ammutinati del generale Bosco Ntaganda e le forze del Movimento del 23 marzo (M23), dall’altra. Le Nazioni Unite, Human Rights Watch e le autorità congolesi accusano il Ruanda di appoggiare i ribelli. Secondo Alphonse Maindo, professore di scienze politiche presso l’Università di Kisangani, e analista della regione, «il Ruanda sta cercando un nuovo uomo forte che possa controllare la regione» e né l’esercito congolese, né la missione delle Nazioni Unite non sono ancora riuscite a portare la pace. Secondo lui, «il conflitto nella regione del Kivu durerà molto più a lungo di quanto previsto». Intervistato, ha affermato che i rapporti della Monusco e di Human Rights Watch sull’appoggio del Ruanda ai ribelli di Bosco Ntaganda e del M23, non fanno che confermare ciò che già si dice nel Nord e Sud Kivu.
– Dietro all’appoggio del Ruanda ai ribelli del M23, si può intravvedere la ricerca, da parte del Ruanda stesso, di un nuovo uomo forte, come è successo anteriormente nel caso di Laurent Nkunda (arrestato nel 2009 dal Ruanda, ndr). Attualmente, Bosco Ntaganda è diventato un peso (è ricercato dalla Corte Penale Internazionale, ndr). Ha perso la protezione del governo congolese, oggetto di una forte pressione internazionale in seguito alla controversia elettorale e ora Kinshasa si vede obbligato di compiere un gesto di accondiscendenza nei confronti della comunità internazionale. Di conseguenza, il Ruanda deve ora trovare un altro uomo forte in sostituzione di Bosco Ntaganda. Questo è la causa dell’apparizione della nuova ribellione del M23, guidata dal colonnello Makenga, che dovrebbe prendere il posto di Ntaganda. Il Ruanda deve assicurarsi degli alleati nella regione, (per motivi di sicurezza e, soprattutto, economici, ndr) e quindi, da un lato, accende il fuoco e, dall’altro, si presenta come il pompiere che spegnerà l’incendio.
– L’esercito regolare congolese (FARDC) non riesce a sconfiggere queste poche centinaia di uomini (si parla di circa 500 militari ammutinati) prima di tutto per motivi tecnici. Arrivati in rinforzo da altre province, in particolare da Kindu, provincia di Maniema (diverse centinaia di chilometri dalla zona di combattimento, ndlr), i militari delle truppe regolari non conoscono bene il territorio e fanno fatica a controllarlo. Di fronte alle FARDC, ci sono dei ribelli che, invece, conoscono molto bene la zona e hanno avuto il tempo sufficiente per prepararsi, perché erano già sul posto. I ribelli hanno si sono ritirati in una zona collinosa ed è molto difficile farli uscire. Ricevono, inoltre, un sostegno dai loro alleati che si trovano nelle vicinanze. Il M23 si è ritirato proprio “a cavallo” della frontiera tra RDC, Ruanda e Uganda, ciò che gli consente di trovare facilmente aiuti, armi e cibo. D’altronde, il mese scorso, i soldati congolesi avevano addirittura rifiutato di andare a combattere sul fronte. Uno dei motivi era che alcune settimane prima, questi soldati avevano circondato la fattoria di Bosco Ntaganda, nel Masisi e aspettavano l’ordine dei loro superiori per lanciare l’assalto finale e catturare il generale ribelle. Ma è stato loro chiesto di fermare l’offensiva, ciò che spiegherebbe la loro insoddisfazione. Secondo questi soldati, non è la prima volta che viene dato questo tipo di contro-ordine, incluso ai tempi della ribellione di Laurent Nkunda (nel 2008, ndlr).
– Contrariamente alle FARDC, i Caschi Blu hanno i mezzi per combattere. I militari della Monusco sono ben attrezzati e ben pagati, ciò che non è il caso dell’esercito congolese. La Monusco dovrebbe fare la differenza sul terreno. Perché non vi riesce? In primo luogo, le regole di ingaggio sono troppo complesse e difficili da applicare. Come in tutte le operazioni di mantenimento della pace, ci vogliono molti permessi per potere aprire il fuoco. Tali autorizzazioni provengono da New York, poi dai comandi militari dei paesi da cui provengono le truppe. È troppo complesso. Poi non si può dimenticare che le truppe provengono in gran parte da paesi in via di sviluppo. I soldati di questi paesi vengono per guadagnare qualche soldo ed è meglio per loro ritornare vivi dalla missione piuttosto che morti … Questo è normale! Questo sentimento influisce quindi sull’impegno concreto delle truppe sul luogo. Anche gli Stati Maggiori militari vogliono minimizzare le perdite nei loro ranghi e questo spiega anche perché la Monusco si impegni il meno possibile nelle operazioni dirette contro i vari gruppi armati. Si potrebbe ovviamente modificare il mandato della Monusco, ma non si vede che cosa si potrebbe aggiungere a questo mandato. Hanno già tutto. Le brigate della Monusco che sono nel Kivu e nell’Ituri hanno già gli strumenti giuridici che consentono loro un reale coinvolgimento militare per imporre la pace.
– Si teme che questa guerra possa durare molto a lungo. Sarà difficile fare uscire i ribelli dalle colline su cui si sono ritirati. La strategia del M23 e dei militari fedeli a Bosco Ntaganda è quella di resistere più a lungo possibile. Si suppone anche che si stiano riorganizzando per passare all’offensiva, al fine di ricuperare equipaggiamento e armi. E poiché si trovano presso il confine ruandese, dove c’è traffico d’armi di ogni tipo … potranno resistere per molto tempo.
– Due fattori potrebbero cambiare la situazione. Prima di tutto, una forte pressione da parte della comunità internazionale. E bisogna colpire sui lati deboli. I due principali attori di questo conflitto, il Ruanda e la RDCongo, dipendono dagli aiuti internazionali, per oltre il 50% del loro bilancio nazionale. Occorrerebbe dar loro un chiaro segnale, dicendo: “Ora basta, perché in caso contrario, si tagliano i viveri!”. In tal caso, si potrebbe sperare che i governi dei due Paesi ci pensino due volte prima di lasciare che la situazione si deteriori del tutto. Secondo elemento: occorre suscitare l’interesse della comunità internazionale. Solo i Congolesi possono farlo. Dovranno mobilitarsi in massa per dire: “Vogliamo la pace”. Questo grido potrebbe risvegliare la coscienza della comunità internazionale.
5. IL MODUS OPERANDI DEL RUANDA, DEI SUOI ALLEATI E DI ALTRI COLLABORAZIONISTI
Dal 1996 (e anche prima), il Ruanda, l’Uganda e il Burundi servono come punti base per la destabilizzazione del Congo. Questi paesi ospitano, addestrano e armano le “forze negative” che stanno destrutturando il paese. Il Ruanda si è servito degli orrendi massacri dei Tutsi e Hutu commessi nel 1994 sul suo territorio come pretesto per giustificare la sua partecipazione attiva alla guerra contro la RDCongo. Una volta in terra congolese, gli squadroni della morte mandati dal “padrone di Kigali”, si spogliano della divisa dell’esercito ruandese e persino della loro identità. Ruandese. Indossano la divisa dell’esercito congolese e si presentano come Congolesi. Oltre che nell’esercito, si infiltrano nella polizia, nel governo, nelle imprese pubbliche e nelle altre diverse istituzioni congolesi. Per avanzare nell’occupazione congolese, dopo essersi infiltrati nelle istituzioni dello Stato e nelle imprese nazionali, questi squadroni della morte fomentano e sostengono delle ribellioni. Questo permette loro di impadronirsi delle armi e delle risorse del paese per occuparlo sempre più in profondità. Gli squadroni della morte inviati da Kigali organizzano un banditismo che permette loro di arricchirsi facilmente, di arricchire i loro protettori (occidentali) attraverso le attività delle multinazionali, di cui questi ultimi dirigono i consigli di amministrazione, e di avanzare, infine, nell’occupazione del paese.
Già ai primi di dicembre del 2004, Joseph Kabila si era pubblicamente espresso sull’aggressione del territorio congolese da parte del Ruanda. Egli affermava: «Da qualche giorno, le forze armate del Ruanda hanno violato il nostro territorio, attraversando la frontiera comune nella provincia del Nord Kivu. Per giustificare la loro criminale avventura, le autorità ruandesi avanzano il pretesto della lotta contro i gruppi armati ruandesi ancora attivi sul territorio della RDCongo. Cari compatrioti, vi ricordo che il problema dei gruppi armati, che non è stato creato dal popolo congolese, è servito come pretesto per la guerra che il Ruanda ha condotto contro il nostro paese sin dal 1998 e che ha contribuito a destabilizzare pericolosamente la regione dei Grandi Laghi» (C. Onana, Questi assassini tutsi. Nel cuore della tragedia congolese, Parigi, Duboiris, 2009, p. 162). Curiosamente, a questa affermazione estremamente chiara non è seguita alcuna azione legale contro il paese aggressore!
Il controllo sul modus operandi del Ruanda e dei suoi alleati dovrebbe condurre le minoranze congolesi, organizzate e attive, ciascuna nel proprio settore, a rompere a breve, medio e lungo termine, con il sistema di morte istaurato nel Paese attraverso le successive ribellioni dell’AFDL-PPRD, del RCD-CNDP-M23.
Sono molte le prove di un’occupazione progressiva dei due Kivu, all’est della RDCongo. Infiltrazioni di uomini armati ruandesi nelle FARDC. Comando parallelo delle truppe. Rifiuto da parte dei militari del CNDP ad essere dispiegati al di fuori del Kivu. Tutti i posti di comando occupati da militari provenienti dal CNDP. Ammutinamenti e ribellioni create artificialmente. Operazioni militari congiunte ruando-congolesi che non hanno mai risolto la questione delle FDLR. Insediamento di popolazioni ruandofone sotto la copertura di un ritorno di rifugiati tutsi. Stupri, massacri, saccheggi e fuga delle popolazioni locali.
Il tentativo del regime di Kigali, incoraggiato e sostenuto finanziariamente e materialmente da forze occulte occidentali, è quello di trasformare il Kivu in una “terra di nessuno”, da predare in qualsiasi momento senza essere disturbati. Tutti gli attacchi contro l’Est della RDCongo hanno un obiettivo preciso: la progressiva balcanizzazione del paese, senza tenere alcun conto del numero delle vittime congolesi e degli sfollati interni.
Si tratta di una continua spedizione di conquista economica.
Sin dall’invasione dell’ex Zaire nel 1996 e l’installazione dell’AFDL al potere nel 1997, non si sono mai registrate sistematiche incursioni delle FDLR su territorio ruandese. È quindi sorprendente che ciclicamente l’APR, l’esercito ruandese, rivendichi il diritto di inseguimento di questa nebulosa ribellione hutu in criminale divagazione sul territorio della RDCongo. Secondo i trattati internazionali, il diritto di inseguimento non può essere esercitato che quando uno Stato è vittima di un attacco militare e reagisce, a titolo di rappresaglia, inseguendo gli aggressori fino al di là dei suoi confini. Nonostante questo, le truppe ruandesi tornano spesso a operare sul territorio congolese. L’APR interviene nella RDC sia direttamente che tramite movimenti ribelli, tipo RCD, CNDP o M23. Qualcuno arriva persino a pensare che sia l’APR che potrebbe addirittura organizzare ed equipaggiare le milizie hutu, per seminare morte e miseria nella RDC e costringere le popolazioni autoctone a fuggire e lasciare campo libero ai commercianti dei minerali, affinché possano saccheggiare il sottosuolo congolese. Infatti, le statistiche di produzione dei minerali ruandesi gettano un grande dubbio sulle origini autenticamente ruandesi di tali minerali, data la piccolezza del paese.
La RDCongo è vittima di tre importanti fenomeni: complicità interne, gravi interferenze da parte di Paesi limitrofi ed esistenza di reti criminali internazionali.
In primo luogo, ci sono delle complicità interne che collaborano e coprono i loro alleati internazionali. In secondo luogo, la RDCongo è vittima delle sue ricchezze che attirano l’attenzione degli stati vicini, in particolare Ruanda e Uganda. In terzo luogo, determinate reti mafiose internazionali “continuano a saccheggiare le ricchezze minerarie e forestali”. Inoltre, un certo numero di paesi dell’Africa orientale stanno costituendo un loro “mercato comune” in cui cercano di fare entrare a tutti i costi anche l’Est della RDCongo, per approfittare della sua ricchezza mineraria. Affinché questo progetto possa riuscire, devono sottrarre la parte orientale della RDCongo al controllo dell’autorità di Kinshasa e versarvi il maggior numero possibile dei loro abitanti, presentati come “rifugiati”. Questa occupazione graduale del territorio congolese è dunque la premessa per una probabile richiesta futura di un processo di auto-determinazione.
È un’amara constatazione fatta anche da Jacquemain Shabani Lukoo, Segretario Generale dell’UDPS e che riflette le intenzioni egemoniche del Ruanda sulla parte orientale del territorio nazionale congolese, secondo un piano machiavellico ideato sotto gli occhi della comunità internazionale in generale e dei governi degli Stati Uniti d’America e di Gran Bretagna, in particolare. Questi due stati, infatti, avevano sostenuto l’invasione della RDCongo, nel 1996, da parte dell’AFDL che ha poi dimostrato di essere una creazione di Kigali che inizialmente aveva parlato di un caso congo-congolese, prima di riconoscere, sei mesi più tardi, quando apparvero le prove tangibili della presenza delle sue truppe regolari sul campo delle operazioni militari in RDCongo, che esse stavano inseguendo i ribelli hutu fuggiti nel Kivu dopo il genocidio ruandese del 1994.
Per l’UDPS, il popolo congolese non deve distrarsi, perché i movimenti politico-militari, come l’AFDL, il RCD, il CNDP e il M23 costituiscono la trama di una stessa storia, quella della destabilizzazione del Congo e del saccheggio delle sue ricchezze. La loro strategia per il controllo del potere in Congo consiste nella manipolazione e la strumentazione dei gruppi armati che, infine, integrano nell’esercito nazionale congolese per indebolirlo e neutralizzarlo. Secondo Shabani Lukoo, questi cosiddetti movimenti politico-militari approfittano di ogni mezzo per strumentalizzare personalità politiche con una certa influenza nelle istituzioni della Repubblica, per raggiungere il loro obiettivo, che è il controllo delle ricchezze minerarie e forestali dell’Est della RDCongo.
Perché tutti questi movimenti politico-militari che, per coincidenza, operano proprio nel Kivu, non sono riusciti a sradicare il fenomeno degli Interahamwe, sempre presentati come una minaccia per la sicurezza interna del Ruanda? In realtà, le diverse operazioni di integrazione delle truppe del RCD e del CNDP nelle FARDC, le operazioni militari congiunte “Umoja Wetu”, “Kimya I e II”, “Amani leo” contro le FDLR hanno permesso a migliaia di militari dell’esercito regolare ruandese di essere integrati nelle FAR-DC e di occupare posti strategici a tutti i livelli. È attraverso la Corte Penale Internazionale che l’opinione pubblica ha appreso che, per esempio, Bosco Ntaganda, nominato generale dell’esercito congolese è, in realtà, un cittadino di nazionalità ruandese. È una prova lampante del piano machiavellico di Kigali per destabilizzare la parte orientale della RDCongo.
6. PERCHE IL RUANDA NON VUOLE LASCIARE L’EST DELLA RDCONGO
La domanda rimane aperta: perché il Ruanda si ostina tanto per intervenire, in un modo o nell’altro, in questa travagliata regione della RDCongo?
Il saccheggio dei minerali congolesi.
Il Ruanda non può svilupparsi se fosse chiusa la frontiera con l’Est della RDCongo. L’ex presidente francese, Nicolas Sarkozy, aveva addirittura presentato una proposta, nel gennaio 2009, sullo sfruttamento comune delle risorse naturali del Kivu da parte del Ruanda e della RDCongo. Diversi rapporti delle Nazioni Unite l’hanno già detto: “Il Ruanda è diventato la piattaforma del commercio illegale dei minerali congolesi”. Nel 2011, secondo la banca centrale ruandese, l’esportazione mineraria ha fatto entrare 68 milioni di dollari nelle casse dello Stato, diventando la principale fonte di entrate in valuta estera superando, per la prima volta, l’esportazione del tè, che è sempre stato il primo settore di esportazione. Ufficialmente, il Ruanda non dispone di giacimenti in grado di fornire una tale produzione. Quindi, da dove provengono questi minerali esportati? Già nel 2009, un osservatore aveva notato una creazione esagerata di cooperative minerarie, più di 300.
Il settore minerario ruandese impiega circa 35.000 persone e le attività sono concentrate in miniere di tipo artigianale e solo in poche di tipo industriale. Inoltre, non è possibile determinare la parte della produzione ruandese che entra nel ciclo delle stesse esportazioni minerarie ruandesi. Sophia Pikles, dell’Ong britannica Global Witness, afferma: «Abbiamo chiesto ai responsabili delle miniere ruandesi di poter fornirci le statistiche della produzione locale, miniera per miniera. Ma fino ad oggi, non abbiamo ricevuto nulla. Solo delle promesse».
I minerali del Congo vengono esportati come produzione ruandese.
Attraverso le cooperative, “i minerali congolesi che attraversano la frontiera sono etichettati in Ruanda e sono venduti sui mercati internazionali”, afferma uno straniero prossimo agli ambienti degli affari nella regione.
Inoltre, secondo l’ONG britannica, il Ruanda tarda ad applicare le direttive sulla “diligenza ragionevole” per il controllo della catena di produzione dei minerali esportati dal suo territorio. Secondo l’Ong, infatti, «il governo ruandese ha vietato l’importazione di minerali che non sono certificati ed etichettati dalle autorità competenti. Però ne sono esclusi i minerali “in transito”che attraversano il paese in contenitori sigillati e provenienti dal Kivu, dove non sono etichettati». Il Ruanda vuole mantenere il controllo sul Kivu, per espandere la sua area di influenza oltre i suoi confini, in una regione ricca di minerali, le cui terre possono ospitare anche certi Ruandesi alla ricerca di campi e pascoli.
Il generale Ntaganda, colonna del commercio illegale.
Secondo l’ultimo rapporto degli esperti delle Nazioni Unite, il generale Bosco Ntaganda ha creato una rete di contrabbando estremamente redditizio nella zona frontaliera RDCongo e Ruanda. I minerali sono introdotti in Ruanda attraverso luoghi di sua proprietà. Il generale ci guadagnava circa 15.000 dollari la settimana.
Complicità del governo congolese.
I minerali congolesi non passano mai in Ruanda senza che i servizi di sicurezza congolesi ne siano a conoscenza. Diversi rapporti degli esperti delle Nazioni Unite hanno sottolineato l’implicazione di personalità politiche congolesi a tutti i livelli. Queste persone non sono mai state perseguite dalla giustizia ed è, quindi, inevitabile, che queste pratiche continuino. Una fonte prossima agli ambienti commerciali internazionali segnala questa scena incredibile:
«Il 3 novembre 2011, le autorità ruandesi consegnano alla RDCongo 68 tonnellate di minerali importate di contrabbando e sequestrate nel corso dell’anno da agenti di sicurezza ruandesi. Lo stock è collocato in un deposito a Goma, di proprietà di un ex generale congolese, Bora, citato anche nel caso dell’assassinio dell’ex presidente congolese Laurent Désiré Kabila. Ma il mattino del 14 novembre, alla presenza di funzionari provinciali, tra cui un ex ministro provinciale incaricato delle attività di estrazione, questi minerali sono di nuovo introdotti clandestinamente in Ruanda e venduti ad acquirenti internazionali». Fino ad oggi, nessuna inchiesta è stata aperta dal governo congolese. Lo stesso presidente Kabila è stato accusato dal parlamentare britannico Eric Joyce per la svendita di risorse naturali, causando al Paese una perdita di oltre 5 miliardi di $. Si ruba, si svende e si intasca, dai vertici dello Stato fino al livello più basso dell’amministrazione, passando attraverso i servizi di sicurezza.