Congo Attualità n. 149 – Editoriale a cura della Rete Pace per il Congo
Continuano i combattimenti nel Nord Kivu (Repubblica Democratica del Congo) tra l’esercito nazionale e i militari disertori fedeli al generale Bosco Ntaganda, ricercato dal governo congolese per “indisciplina” e oggetto di un mandato di arresto emesso nel 2006 dalla Corte Penale Internazionale per reclutamento di bambini soldato. Ntaganda proviene dal Congresso Nazionale per la Difesa del Popolo (CNDP), un ex gruppo armato filo ruandese e ora trasformato, almeno ufficialmente, in partito politico, addirittura membro della Maggioranza Presidenziale (MP).
Gli scontri sono iniziati in seguito alle forti pressioni della Corte Penale Internazionale (CPI) e della Comunità Internazionale sul presidente congolese Joseph Kabila, affinché proceda all’arresto di Bosco Ntaganda.
Ultimamente, è apparso anche un nuovo gruppo, il Movimento del 23 Marzo (M23), guidato dal colonnello Sultani Makenga, anche lui membro del CNDP. Teoricamente, questo nuovo gruppo armato rivendica nuove trattative con il governo, per completare la realizzazione degli accordi di pace firmati, appunto, il 23 marzo 2009 a Goma e dichiara di essere indipendente da Bosco Ntaganda. In realtà, si tratta certamente di una strategia dello stesso CNDP per aprire più fronti, ostacolare l’arresto di Bosco Ntaganda e, nello stesso tempo, mettere il governo in nuove difficoltà, in vista di nuove rivendicazioni militari (promozioni a gradi maggiori) e politiche (qualche posto ministeriale a Kinshasa o a livello provinciale).
Contemporaneamente, approfittando di questa situazione, i ribelli ruandesi delle Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR) hanno intensificato i loro attacchi contro la popolazione massacrando, nell’ultimo mese oltre 250 persone. La minaccia delle FDLR è grave e da non sottovalutare e va affrontata con una strategia adeguata: la soluzione militare è nettamente insufficiente ed estremamente pericolosa per la popolazione locale.
Come se ciò non bastasse, il Ruanda propone la sua collaborazione per trovare una soluzione pacifica e politica alla nuova crisi del Kivu. Secondo molti osservatori, il Ruanda sembra proporsi come mediatore tra il governo congolese e la nuova ribellione del M23. Tale procedura del Ruanda fa nascere il sospetto che sia proprio Kigali all’origine del nuovo gruppo armato M23. Tale sospetto sembra essere confermato dal fatto che Kigali propone pure una nuova operazione militare congiunta nel Kivu contro i ribelli ruandesi delle Forze Democratiche di Liberazione del Ruanda (FDLR), ancora attive nella provincia. Kigali sembra dimenticare l’esito negativo delle precedenti operazioni militari e, deliberatamente, omette di riconoscere che solo un dialogo inter ruandese inclusivo può risolvere la questione delle FDLR. Un dialogo tra il governo ruandese e le FDLR in vista di un accordo politico e di una riconciliazione tra Ruandesi è l’unica via per disarmare le FDLR. Ma Kigali non accetta. Per un’ennesima volta, Kigali preferisce ricorrere al pretesto della minaccia delle FDLR per, in primo luogo, ostacolare indirettamente l’arresto di Bosco Ntaganda, di nazionalità ruandese e suo uomo di fiducia nel Kivu e, in secondo luogo, per mantenere la sua presenza nel Kivu, in vista dello sfruttamento delle ricchezze minerarie della zona, molto ricca in coltan, cassiterite, oro, petrolio e gas metano.
Il re è finalmente nudo.
Già da tempo, l’Onu, il Consiglio di Sicurezza dell’Onu, la Missione dell’Onu in RDCongo (Monusco), l’Unione Europea e la Comunità Internazionale, avrebbero dovuto capire che l’ingerenza ruandese sulla RDCongo in generale e sul Kivu in particolare è all’origine della violenza perpetrata dalle FDLR sulla popolazione congolese e dell’attivismo dei gruppi armati congolesi che si oppongono, decisamente e con ragione, all’occupazione straniera del loro territorio.
Un accordo di pace tra governo ruandese e le FDLR permetterebbe a quest’ultime di rientrare in Ruanda nella sicurezza e con dignità. Basterebbe porre fine all’ingerenza ruandese in Congo e i vari gruppi di autodifesa Mai Mai potrebbero abbandonare le armi a breve termine.
In tempi di pace, tutti potrebbero investire nell’estrazione e commercializzazione dei minerali, nel rispetto dei diritti umani e secondo le norme nazionali e internazionali vigenti.
In tempi di pace, non ci sarebbe più bisogno di un partito per la difesa di una tribù (i Tutsi, per citarne una), soprattutto in RDCongo, dove si parlano circa 450 dialetti e dove ciascuna delle oltre 250 tribù esistenti è “minoritaria” rispetto all’insieme della popolazione congolese.
Il presidente Kabila e il governo Matata devono dimostrare di essere capaci di riportare la pace su tutto il territorio del Paese e, in particolare, nel martoriato Kivu, ristabilendo un rapporto paritario, e non di dipendenza, con il vicino Ruanda e salvaguardando l’unità del Popolo, la sovranità nazionale e l’integrità territoriale. La memoria delle vittime, la giustizia, la sofferenza e la volontà del popolo congolese lo esigono!