Fonte: Atlasweb – 17 maggio 2012
Si sta facendo strada verso il Senato un’iniziativa della società civile congolese, ricevuta ieri a Palazzo Madama per un’audizione presso la Commissione diritti umani, durante la quale è stata esposta la difficile situazione nella quale versa da anni la Repubblica democratica del Congo, nell’indifferenza quasi generalizzata dei grandi mezzi d’informazione e dell’opinione pubblica italiana e internazionale.
“La questione della Repubblica Democratica del Congo, con i suoi lunghi anni di violenze, i suoi milioni di vittime, dovrebbe pesare sulle coscienze europee” ha detto l’on. Pietro Marcenaro (Pd), presidente della Commissione diritti umani, nella conferenza di presentazione dell’audizione, davanti a una folta comunità congolese. “Purtroppo è difficile costruire un’opinione pubblica e un interesse politico sul Congo” ha aggiunto il senatore. La scarsa presenza di giornalisti invitati all’evento – tranne i rappresentanti di piccole realtà editoriali che da anni si occupano di Sud del mondo – lo ha chiaramente dimostrato.
“Non ci aspettiamo un miracolo da questa audizione, ma auspichiamo che sia un punto di partenza per una maggiore sensibilizzazione del mondo politico italiano su una realtà che sta sotto gli occhi di tutti e dinanzi alla quale non si deve, non si può, restare indifferenti” ha precisato Jean-Jacques Diku, portavoce della comunità congolese in Italia. “Dopo una serie di manifestazioni, eventi e cortei, – ha aggiunto – abbiamo capito che occorre trovare altre strade per tentare di coinvolgere le sedi dei poteri decisionali”.
A sostenere l’iniziativa, alcune realtà della società civile italiana, in particolare i missionari della ‘Rete pace per il Congo’ e l’associazione ‘Maendeleo’, e le senatrici Albertina Soliani (Pd) e Barbara Contini (Fli). Presente all’evento, anche il congolese John Mpaliza, protagonista l’anno scorso di una marcia di sensibilizzazione da Reggio Emilia a Roma.
È una situazione cupa, reduce di un processo elettorale segnato da brogli e irregolarità, segnata da forti tensioni politiche, sociali e militari, quella che è stata esposta alla Commissione del Senato. “In tutto il paese permane una situazione di insicurezza generale. Nel Nord-Kivu, si continua a sparare e a morire” hanno detto ai legislatori i portavoce congolesi, riferendosi alla nuova fiammata di violenza registrata dai primi di aprile, con l’ammutinamento del generale Bosco Ntaganda e gli attacchi commessi da altri gruppi armati. Un’ennesima emergenza che ha costretto alla fuga almeno 17.000 nuovi sfollati e profughi (in Rwanda), oltre alle migliaia di civili tuttora sfollati a causa di precedenti tensioni.
“La causa di questi conflitti non è comunitaria, non è tribale, è economica. Lo sfruttamento illegale delle materie prime del Congo – oro, coltan, rame, diamante, tungsteno, legname, per citarne alcuni – è la causa principale della guerra che dal 1996 continua a dilaniare il paese” ricorda la comunità congolese d’Italia. “La Repubblica Democratica del Congo ha il potenziale per essere uno dei paesi più ricchi del globo, eppure, attualmente, si colloca al 187° posto su 187 paesi nell’indice di sviluppo umano stilato dalle Nazioni Unite”.
Molti sono gli interrogativi posti dalla società civile al governo italiano e alla comunità internazionale:
- Perché una vita stroncata in Congo non desta la stessa indignazione e non conduce alla stessa condanna che altrove?
- Perché, nonostante un rapporto Onu in cui si evidenziano crimini, la comunità internazionale, tutta, non ha ancora provveduto ad azioni concrete per far sì che i responsabili siano consegnati alla giustizia?
- Cosa pensano i dirigenti dell’eccidio costato 5 a 6 milioni di morti dal 1996?
- Che fine ha fatto il principio di responsabilità condivisa secondo cui un paese come l’Italia non possa vendere armi o sostenere, sia finanziariamente che politicamente, un regime senza rendersi conto della corresponsabilità per i danni che tali aiuti potranno o andranno a creare?
E ancora, qual’è la posizione dei governi internazionali di fronte a un’elezione, quella del 28 novembre scorso che ha confermato alla presidenza Joseph Kabila, dopo una modifica costituzionale contestata e un processo elettorale altrettanto contestato, persino da osservatori internazionali?
A questi, e ai molti altri interrogativi che si celano dietro le dinamiche congolesi e della regione dei Grandi Laghi, la società civile aspetta, se non azioni immediate, almeno alcune risposte.