Mancanza di prove: è con questa motivazione che la Corte penale internazionale (Cpi) ha stabilito in appello che non potrà processare Callixte Mbarushimana, segretario esecutivo delle Forze democratiche per la liberazione del Rwanda (Fdlr), la ribellione hutu ruandese. “L’articolo 61 dello statuto di Roma (il trattato istitutivo della Cpi, ndr) consente comunque al procuratore di chiedere in futuro una nuova conferma dei capi d’imputazione sulla base di ulteriori elementi di prova” ha sottolineato il giudice Erkki Kourula, che ha letto il verdetto.
Arrestato dalle autorità francesi nell’ottobre del 2010 e trasferito all’Aja, dove ha sede la Corte, nel gennaio successivo, Mbarushimana avrebbe dovuto rispondere a cinque capi d’accusa per crimini contro l’umanità – uccisioni, torture, stupri, atti disumani e persecuzioni – e otto capi d’accusa per crimini di guerra – attacchi contro popolazione civile, uccisioni, mutilazioni, torture, stupri, trattamenti disumani, distruzione di beni e saccheggi – commessi nell’est della Repubblica democratica del Congo nel 2009. Per la prima volta dalla sua nascita nel 2003, lo scorso 16 dicembre la Cpi aveva ordinato la sua scarcerazione, non essendo in grado di confermare i capi d’imputazione a carico del capo delle Fdlr. Era stato lo stesso procuratore generale Luis Moreno-Ocampo a chiedere ai magistrati di sospendere il rilascio del dirigente politico della ribellione hutu ruandese, ordinato qualche giorno prima.
Da cinque mesi, Mbarushimana, 48 anni, si trova in Francia, dove viveva già dal 2002, con la moglie e i due figli. La giustizia francese lo ha posto in stato di custodia cautelare: è stato incriminato dal Tribunale istruttorio di Parigi per crimini contro l’umanità che avrebbe commesso durante il genocidio del 1994 in Rwanda. I giudici francesi hanno accolto una denuncia presentata nel 2008 dal ‘Collectif des parties civiles pour le Rwanda’ (Cpcr).