Congo Attualità n. 150

SOMMARIO

EDITORIALE: Quando la menzogna è usata come arma di guerra

1. KIVU

a. Dal fronte dei combattimenti

b. L’Onu accusa il Ruanda di sostenere i ribelli del Movimento del 23 marzo (M23)

c. Incontro di Kigali: per il caso delle FDLR, il Ruanda tende ancora una trappola alla RDCongo

d. Per avere scelto la via delle armi: il M23 dimostra di preferire la guerra al dialogo

e. Nord Kivu: la giungla!

 

EDITORIALE: QUANDO LA MENZOGNA È USATA COME ARMA DA GUERRA

 

1. KIVU

 

a. Dal fronte dei combattimenti

 

Il 23 maggio, il Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati, Antonio Guterres, ha dichiarato che quasi 80.000 persone sono fuggite dai loro villaggi a causa degli scontri armati iniziati a fine aprile nella provincia del Nord Kivu, all’est della Repubblica Democratica del Congo.

A Rutshuru, tra il 30 aprile e 19 maggio, l’UNHCR ha registrato oltre 40.000 sfollati, molti dei quali vivono in condizioni precarie nelle scuole, chiese e siti improvvisati. Secondo l’UNHCR in Ruanda, dal 27 aprile in poi, oltre 8.200 rifugiati sono arrivati in Ruanda. La maggior parte di loro rimangono vicino alla frontiera. In Uganda, le autorità locali hanno riferito all’UNHCR l’arrivo di circa 30.000 rifugiati congolesi. «Le dimensioni degli spostamenti della popolazione all’Est della RDCongo sono già catastrofiche», ha ammesso Antonio Guterres. Il conflitto combinato a un accesso molto limitato degli operatori umanitari significa che diverse migliaia di persone si trovano senza protezione, né assistenza. Da novembre 2011, circa 300.000 sfollati hanno abbandonato le loro case e le loro attività. Si aggiungono a più di 1,1 milioni di sfollati precedenti in seguito alle diverse ondate di violenza. Nella RDCongo, gli sfollati sono ormai oltre due milioni.

Il 25 maggio, nella provincia del Nord Kivu, all’est della Repubblica Democratica del Congo (RDCongo), si sono registrati degli scontri tra l’esercito nazionale e i militari ammutinati appartenenti al Movimento del 23 marzo (M23) e basati nei pressi del confine con l’Uganda e il Ruanda. «Abbiamo ripreso i combattimenti; li attacchiamo con armi pesanti per allontanarli dalla collina di Chanzu, una delle loro roccaforti», ha affermato un colonnello dell’esercito regolare.

«Le FARDC ci attaccano e usano armi pesanti, ma non abbiamo paura, ci difenderemo», ha dichiarato il tenente colonnello Vianney Kazarama, portavoce del M23, aggiungendo: «Finora manteniamo le nostre posizioni». I combattimenti si svolgono a sud-est posto del territorio di Rutshuru, attorno a tre colline: Mbuzi, Chanzu e Runyonyi, vicino al confine con Uganda e Ruanda dove, da una decina di giorni, si concentra la battaglia.

Il 26 maggio, è stato reso pubblico un comunicato datato del 23 maggio, in cui i ribelli del Movimento del 23 Marzo (M23) hanno chiesto alle Forze Armate della RDC (FARDC) un cessate il fuoco. Affermando di essere aperti a trattative per una soluzione pacifica alla crisi, il movimento ribelle ha affermato che le defezioni di alcuni ufficiali delle FARDC e la creazione del loro movimento sono giustificate dal mancato rispetto degli accordi sottoscritti tra il CNDP e le autorità del paese. I ribelli del M23 hanno anche chiesto alla MONUSCO di “cessare il suo sostegno alle FARDC”. Per ora, non vi è ancora alcuna reazione da parte dell’esercito nazionale. Fonti locali hanno tuttavia dichiarato che gli scontri tra l’esercito e i ribelli continuano nei pressi di Jomba e Bweza, nel territorio di Rutshuru.

b. L’Onu accusa il Ruanda di sostenere i ribelli del Movimento del 23 marzo (M23)

Secondo un rapporto confidenziale delle Nazioni Unite che la BBC si è procurato, cittadini ruandesi sono stati reclutati e addestrati nel loro paese per rafforzare l’ammutinamento dei ribelli del M23 conto cui l’esercito congolese combatte sin dall’inizio di maggio nella provincia del Nord Kivu. Secondo il rapporto, «le Nazioni Unite hanno avuto contatti con 11 combattenti del M23 che hanno abbandonato le loro posizioni nelle foreste montagnose al confine tra la RDC e il Ruanda».

Il rapporto «descrive questi disertori come cittadini ruandesi reclutati in Ruanda con il pretesto di arruolarli nell’esercito nazionale, tra cui un minore».

«Hanno detto che sono stati reclutati in un villaggio chiamato Mundede e che hanno ricevuto un addestramento su come usare le armi e che sono stati inviati in RDCongo per essere integrati nelle truppe del M23», ha affermato alla BBC Hiroute Guebre-Selassie, capo della missione delle Nazioni Unite (MONUSCO) a Goma, capoluogo del Nord Kivu.

«Alcuni combattenti hanno affermato di essere stati reclutati già dal mese di febbraio», indica la BBC. «Fino ad oggi, si sono arresi quindici ammutinati, fra cui sette ruandesi che hanno assicurato che il Ruanda ha dato loro rinforzi; lo si diceva già prima: il Ruanda li appoggia con munizioni, armi pesanti e persino truppe», ha dichiarato un colonnello che partecipa ai combattimenti, aggiungendo che «il M23 non avrebbe potuto resistere durante tutti questi giorni di combattimenti senza il supporto del Ruanda».

Egli ha anche precisato che coloro che si sono arresi, “sono stati mandati a Rutshuru, presso il comando militare di settore” e che la gerarchia avrebbe deciso “cosa fare con loro”.

I ribelli del M23 hanno negato di ricevere assistenza dal Ruanda. “Se il Ruanda ci sostenesse, saremmo arrivati molto lontano oggi, perché ha un esercito organizzato e molto forte”, ha dichiarato il tenente colonnello Vianney Kazarama, portavoce del M23.

Il governo congolese ha dichiarato di non avere, per il momento, elementi sufficienti che possano confermare questa informazione. “Non è escluso che ci si trovi di fronte a una provocazione di persone che vogliono perturbare maggiormente la situazione, creando problemi tra il Ruanda e la RDCongo”, ha risposto Lambert Mende, portavoce del governo, che ha aggiunto che, “in mancanza di elementi che possano confermare tali accuse, è in corso un’inchiesta”.

Da parte sua, Kigali ha respinto in blocco le accuse delle Nazioni Unite, qualificando come “fallimentare” la missione dell’Onu in Congo (la MONUSCO). “Sono voci completamente false e pericolose”, ha dichiarato in un comunicato la ministro ruandese degli Affari Esteri, Louise Mushikiwabo. “Il Ruanda ha sempre sostenuto che l’attuale instabilità nell’Est della RD Congo è una questione che riguarda il governo congolese e l’esercito congolese”, ha affermato. “L’interesse nazionale del Ruanda è quello di contenere il conflitto e stabilire relazioni profonde e pacifiche con i suoi vicini”, ha aggiunto la signora Mushikiwabo. Il Ministro ha concluso dicendo che la missione delle Nazioni Unite nella RDC è stata un fallimento e che le Nazioni Unite si sono alla fine dimostrate “incapaci” di proteggere i civili nella parte orientale della Repubblica Democratica del Congo. «Invece di svolgere il proprio mandato per sradicare la minaccia delle FDLR e aiutare a stabilizzare la regione, la MONUSCO è diventata un fattore destabilizzante, la cui prima preoccupazione è quella di mantenere i suoi enormi finanziamenti e giustificare la sua presenza attuale», così ha concluso la Ministro Mushikiwabo.

L’ambasciatore della RDC in Ruanda, Norbert N’kulu, ha cercato di relativizzare le accuse della Missione delle Nazioni Unite per la stabilizzazione in RDCongo (MONUSCO) circa la presenza di elementi ruandesi nei ranghi dei ribelli del Movimento del 23 marzo (M23). In seguito a un colloquio con il governatore del Nord Kivu, Julien Paluku, a Goma, capitale della provincia del Nord Kivu, N’kulu ha dichiarato che il rapporto della Monusco “impegna solo la missione delle Nazioni Unite nella RDCongo”. L’ambasciatore N’kulu ha rilevato gli ottimi rapporti tra la RDCongo e il Ruanda che, secondo lui, continuano a normalizzarsi. Ha ricordato che Kigali e Kinshasa avevano accettato, alla fine della quinta commissione congiunta tenutasi recentemente a Kigali, capitale del Ruanda, di unire gli sforzi per una reciproca sicurezza.

Il primo ministro Matata Ponyo aveva già affermato davanti alla Camera dei Deputati, in seduta plenaria a Palazzo del Popolo, che “una ribellione non può vincere se non gode del sostegno della popolazione e se non ha una base d’appoggio in un Paese vicino”. Senza dirlo apertamente, Matata Ponyo si è dimostrato convinto dell’esistenza di una mano invisibile che, ben oltre i confini della RDCongo, comanderebbe le operazioni di destabilizzazione dell’Est del Paese. Tuttavia, non ne ha fatto il nome. E se fosse il Ruanda chi ne tirerebbe le fila? È un’ipotesi da non escludere. Ovviamente, le parole del Primo Ministro sono la conferma che a Kinshasa si è ben consapevoli dell’implicazione del Ruanda in ciò che è sempre accaduto all’Est del Paese. Ma alcune personalità congolesi lasciano che Kigali continui le sue criminali incursioni sul territorio congolese, anche se, nello stesso tempo, fanno finta di simpatizzare con la causa del Congo. L’analisi dei fatti lascia capire che a Kinshasa ci sono complicità interne. In caso diverso, come si potrebbe continuare a “proteggere” Kigali, quando tutte le ipotesi confermano la sua responsabilità nella tragedia del Kivu?

c. Incontro di Kigali: per il caso delle FDLR, ancora una volta il Ruanda tende una trappola alla RDCongo

 

A proposito della 5ª riunione della Grande Commissione mista Ruanda-RDCongo tenutasi a Kigali dal 18 al 19 maggio, alcuni osservatori della scena politica della regione dei Grandi Laghi stimano che la sovranità della RDCongo vi sia stata venduta a basso prezzo. In primo luogo, essi sottolineano, il comunicato finale usa un termine generico per riferirsi ai militari “ammutinati” del Movimento del 23 Marzo (M23), definendoli semplicemente come “elementi opportunisti” e “propaganda negativa”.

E ciò quando oltre due milioni di Congolesi sono sfollati e innumerevoli sono gli stupri di massa. I massacri dei civili e la distruzione delle infrastrutture hanno obbligato decine di migliaia di Congolesi a fuggire dai loro villaggi a causa dei “disertori” del M23, le cui rivendicazioni sono, a dir poco, insostenibili. In modo particolare, si presentano come gli unici in grado di proteggere la popolazione tutsi e ricattano la gerarchia delle FARDC per ottenere una promozione dei loro gradi. In realtà, sono individui dalla nazionalità discutibile, come il loro vero capo Bosco Ntaganda.

Molti di loro non hanno mai messo piede in un’accademia militare e non hanno nemmeno completato la scuola elementare. Secondo il comunicato congiunto finale, le due delegazioni hanno preso in considerazione un solo punto messo all’ordine del giorno, quello di iniziare un’altra operazione militare contro le FDLR e nemmeno una parola è stata detta sui “disertori” del M23.

Oltre al fatto che l’incontro sembra banalizzare i crimini perpetrati dai militari “ammutinati” del M23, in un passaggio del comunicato finale si legge che “i ministri della difesa hanno deciso che il mandato della Commissione mista dei servizi di informazioni militari, incaricata di verificare insieme la situazione dell’insicurezza lungo le frontiere comuni sia esteso fino all’interno di ciascun Paese”.

Un modo per preparare la ripresa delle operazioni militari congiunte di triste memoria e che non hanno contribuito a migliorare la situazione, perché le FDLR sono diventate ancora più violente e barbare nei confronti del popolo congolese. Si può parlare di sovranità nazionale quando degli ufficiali dei servizi segreti e dei militari di un esercito di un paese straniero possono entrare e operare, in qualsiasi momento, in una porzione di territorio di un altro Stato?

A causa di un discorso ufficiale piuttosto menzognero, tutti gli incontri avviati tra la Repubblica Democratica del Congo e il Ruanda sembrano finire sempre a vantaggio di Kigali. Il Ruanda evidenzia gli effetti nocivi delle FDLR e minimizza i crimini commessi dagli ammutinati del M23 nelle due province del Kivu qualificandoli, semplicemente, come “elementi opportunistici”.

Gli osservatori si chiedono come mai, sin dal 1994, il Ruanda combatta le FDLR sul territorio congolese, senza mai riuscire a sconfiggerle. Secondo alcuni di loro, questa questione è un vero e proprio fondo di commercio che permette al Ruanda di continuare a sfruttare le ricchezze naturali del Kivu. Tutti i rapporti emessi dagli esperti delle Nazioni Unite sui conflitti armati nell’Est della RDCongo sembrano confermare tale tesi.

Sin dai tempi della guerra di “liberazione” del 1996-1997, il “padrino” Kigali si sente nella posizione di controllare tutto ciò che succede nella RDCongo, fino al punto di interferire, davanti agli occhi di tutti, in qualsiasi problema interno del Paese. Kigali si considera in diritto di intervenirvi ogni volta che la difesa dei suoi interessi in Congo lo richieda. Ma sempre sulla base della presenza quasi permanente delle FDLR sul suolo congolese sin dal genocidio ruandese del 1994.

È al genocidio del 1994 che il Ruanda fa continuamente ricorso per giustificare le sue incursioni nella RDCongo. Oggi si constata che tutti gli accordi firmati tra i due Paesi sono sempre a favore del Ruanda, anche l’ultimo, concluso il 19 maggio 2012 a Kigali.

Come i precedenti, questo nuovo accordo si basa principalmente sull’attacco alle FDLR, quando per Kinshasa non è attualmente una priorità, come lo è invece la nuova ribellione del Movimento del 23 marzo (M23). Ma, contro ogni aspettativa, la RDCongo ha, ancora una volta, ceduto alle esigenze del Ruanda, accettando di cooperare pienamente nella neutralizzazione dei ribelli hutu ruandesi.

L’esperienza del passato dice che il riavvicinamento tra i due Paesi non è mai stato sincero. Perché è in nome dei suoi interessi e della propria sicurezza che Kigali trascina sempre Kinshasa dentro al suo gioco, facendole firmare degli accordi generalmente contro natura.

La questione delle FDLR è centrale in tutto ciò che sta accadendo nella RDCongo da quasi 20 anni. Essa è stata strumentalizzata per tentare di giustificare l’aggressione del paese, sotto copertura dell’Alleanza delle Forze Democratiche di Liberazione (AFDL), durante la guerra detta dei “Banyamulenge”, iniziata ufficialmente per recuperare la nazionalità congolese. È terminata con la nomina di un ufficiale generale ruandese a Capo dello Stato Maggiore Generale dell’esercito congolese. L’attacco alle FDLR è servito per giustificare l’occupazione, per cinque anni, dei due Kivu e di una parte della Provincia Orientale e del Kasai da parte di truppe regolari ruandesi a fianco di quelle del Raggruppamento Congolese per la Democrazia (RCD). La questione delle FDLR ha giustificato le famose operazioni militari congiunte tra Ruanda e Congo (Umoja wetu) nel 2008-2009, che hanno costretto Vital Kamerhe a dimettersi dalla presidenza della Camera dei Deputati, perché accusato di tradimento, per aver denunciato la violazione dell’integrità e della sovranità del Paese. Quale sarà l’obiettivo dell’attuale ricorso alla questione delle FDLR? Probabilmente la balcanizzazione del paese, secondo lo schema del Sud Sudan.

Sottoscrivendo questo comunicato finale, la RDCongo si assume la responsabilità di un nuovo attacco alle FDLR, anche se tutte queste operazioni militari, congiunte o meno, non hanno mai portato alcun risultato. Dal momento che Kinshasa ha accettato, sarà responsabile di tutto ciò che potrà accadere. Sarà quindi obbligata a destinare a tali operazioni ingenti risorse militari, finanziarie, materiali, umane e scientifiche, a scapito di progetti per la ricostruzione del paese.

In conclusione, con il comunicato finale dell’ultimo incontro di Kigali, l’entrata di truppe regolari ruandesi in territorio congolese in vista di operazioni militari congiunte, invece di essere puntuale e limitata nel tempo, diventa ora illimitata e continuativa. Ora è Kigali che fissa il tempo e lo spazio secondo i suoi umori e interessi, visibili e invisibili.

Il Nord Kivu è ancora in fiamme a causa degli uomini del generale Bosco Ntaganda, che stanno combattendo con le Forze armate congolesi. Ma è la popolazione civile che sta pagando un caro prezzo. Nel frattempo, Kigali e Kinshasa moltiplicano gli incontri. Ministri degli Esteri, ministri della Difesa, Capi di Stato maggiore degli eserciti, responsabili dei servizi segreti, ecc. terminano le loro riunioni con imbarazzanti comunicati. Eppure, in entrambi i paesi, tutti sanno dove sta il problema. Ma nessuno osa fare un passo per proporre una soluzione, che è di per sé già evidente.

Il problema del Kivu è il Ruanda.

Nel 1996-1997, dopo aver creato il fenomeno dei Banyamulenge e l’AFDL, il FPR ha lanciato il suo esercito in RDCongo, non solo per bombardare i campi dei rifugiati hutu ruandesi, ma anche per invadere tutto il Paese. Ha spinto la sua avventura fino a Kinshasa per rovesciare Mobutu e intronizzare Laurent Désiré Kabila. Questi è stato subito assassinato nel gennaio 2001, perché diventato incontrollabile.

Theogene Rudasingwa, ex direttore della segreteria del presidente Paul Kagame, ha chiaramente dichiarato che è il presidente ruandese che ha organizzato l’assassinio. Laurent Désiré Kabila è stato sostituito da “suo figlio”, che resta sotto l’influenza di Paul Kagame, di cui era una guardia del corpo, secondo alcune fonti. È dunque Paul Kagame che dà gli ordini all’attuale presidente congolese e quindi fa quello che vuole in RDCongo.

Per il Ruanda, l’interesse per consolidare il suo potere nella regione del Kivu, attraverso ufficiali a lui fedeli (Mutebutsi, Nkunda, Ntaganda, Makenga e altre personalità militari e politiche), è essenzialmente di ordine economico. Circa questo punto, le FDLR sono utili a Paul Kagame, che ne approfitta per brandire all’opinione pubblica, nazionale e internazionale, la loro minaccia come motivo giustificante il suo intervento in Congo, ma in realtà un vero pretesto per mantenere il suo controllo sulle materie prime della regione.

Prima Nkunda e Ntaganda e ora Makenga hanno, tra l’altro, la missione di proteggere i corridoi di “trasferimento” delle “materie prime ad una clientela di uomini d’affari ruandofoni, per non dire Tutsi, nella regione”. Il Ruanda è una spina nel fianco della RDCongo. Estrarre questa spina richiede la ferma determinazione delle donne e degli uomini congolesi, per dire no all’annessione del Kivu al Ruanda. Questa è la soluzione.

d. Per avere scelto la via delle armi: il M23 dimostra di preferire la guerra al dialogo

 

Quando, il 6 maggio, le Forze Armate della Repubblica Democratica del Congo (FARDC) annunciavano di aver sospeso, a partire dal 4 maggio, l’offensiva contro i ribelli fedeli al generale Bosco Ntaganda e di aver loro dato un ultimatum di cinque giorni per arrendersi, il colonnello Makenga, dal 2009 anch’egli ufficiale delle FARDC proveniente dalle truppe del CNDP come Bosco Ntaganda, annunciava in un comunicato stampa il “rilancio dell’ala politica del CNDP” attraverso la creazione del nuovo movimento del 23 Marzo (M23). Il nome fa riferimento al 23 marzo 2009, quando il CNDP, allora movimento politico-militare, aveva firmato un accordo con il governo, per porre fine alla ribellione, essere riconosciuto come partito politico e integrare le sue truppe nelle FARDC.

Il portavoce del M23 aveva subito dichiarato che il movimento aveva come obiettivo principale quello di far rispettare gli accordi presi con il governo congolese. Contemporaneamente, il presidente del CNDP, il senatore Edouard Mwangachuchu, dichiarava che il suo partito politico, il CNDP, continuava ad impegnarsi per il processo di pace. È necessario ricordare che il CNDP è membro della piattaforma che ha sostenuto Kabila durante le ultime elezioni, la Maggioranza Presidenziale (MP). Tuttavia, il CNDP non ha ottenuto alcun seggio parlamentare all’Assemblea Nazionale dei Deputati e, nella circoscrizione del Masisi, sua roccaforte, le elezioni sono state semplicemente annullate dalla Commissione Elettorale, in seguito alle numerose irregolarità che vi sono state constatate. Per conseguenza, il peso politico del CNDP è significativamente diminuito e, per esempio, nessun posto nel nuovo governo gli è stato offerto.

Quindi, l’unica carta da giocare che gli rimane in mano è quella militare. Non avendo una forza politica, vuole dimostrare la sua forza militare, per ricattare il potere di Kinshasa, in vista di ottenere alcuni posti di governo e, nello stesso tempo, proteggere indirettamente il generale Bosco Ntaganda. Ma il CNDP si muove con prudenza e preferisce agire in due tempi: a livello politico, sul quale finge di restare fedele a Kabila, e sul fronte militare, affidato a Makenga e alle sue truppe. Chi lo conosce, dice che il colonnello Makenga è uno dei più radicali in seno al CNDP e che ha mal digerito l’arresto di Laurent Nkunda nel 2009, anche se allora non aveva sufficiente potere per opporsi al riavvicinamento tra il CNDP e il governo congolese, facilitato da Ntaganda, il “Terminator”. Che sia arrivato per lui il tempo giusto per vendicarsi?

Le colline di Runyoni, al confine tra la RDCongo, il Ruanda e l’Uganda, dove Makenga si è ritirato, sono il luogo ideale per potere affrontare l’attacco delle FARDC, usufruendo di eventuali basi di appoggio in questi due paesi confinanti con la RDCongo. Lo sosterranno, rimarranno neutrali o appoggeranno il governo di Kabila? La risposta a questa domanda sarà cruciale.

Quel che è certo è che il presidente Kabila e il governo Matata Ponyo dovranno rapidamente decidere se combattere una guerra che non sono sicuri di vincere o se fare concessioni al CNDP, o piuttosto al M23, per mantenere la tregua raggiunta nel 2009. Quest’ultima opzione è la più probabile, tenendo conto dell’incapacità delle FARDC, nelle attuali condizioni, di far fronte a una nuova ribellione. Ma tale soluzione sarà, naturalmente, molto effimera.

Dal CNDP al M23, questa mutazione non è altro che la continuazione delle anteriori ribellioni dell’AFDL e del RCD. Refrattario a qualsiasi pace portatrice di democrazia e a qualsiasi democrazia portatrice di pace, il CNDP ha fatto della guerra la ragione della sua sopravvivenza. Ovviamente, ha scelto la via degli scontri ciclici per giocare la carta che gli ha assicurato, finora, la sua sopravvivenza: la vittimizzazione. Il portavoce del M23 ha accusato il governo di non aver rispettato gli impegni presi in occasione della firma degli accordi di pace del 2009, come la presa in carica dei feriti di guerra e il sostegno sociale delle vedove e degli orfani. Egli dimentica, tuttavia, che anche il CNDP è alla base delle ingenti sofferenze della popolazione civile. Nella sua risposta, il governatore del Nord Kivu ha rivelato che l’ex ala armata del CNDP ha il maggior numero di colonnelli rispetto agli altri gruppi armati che hanno firmato gli accordi di Goma. L’ex ala armata del CNDP ha nello Stato Maggiore Generale delle FARDC, l’interlocutore principale per presentargli le sue richieste. Diventato partito politico, il CNDP può rivolgersi alle istituzioni politiche nazionali (Presidente della Repubblica, Assemblea Nazionale, Senato e Governo) e alle istituzioni provinciali (Assemblea Provinciale e governo provinciale). Nonostante tutto ciò, il nuovo movimento insurrezionale ha fatto la scelta deliberata del confronto armato con, naturalmente, la sua quota di sfollati e rifugiati, oltre ai feriti e ai morti.

e. Nord Kivu: la giungla!

Gli echi che provengono dalla provincia del Nord Kivu non sono certo rassicuranti circa il ripristino dell’autorità dello stato e della pace in questa parte del paese. Gli ufficiali delle Forze Armate della Repubblica Democratica del Congo (FARDC) e del Congresso Nazionale per la Difesa del Popolo (CNDP) e i signori della guerra di milizie e altri gruppi armati dettano legge, ciascuno a suo modo. Una vera giungla.

Il commercio illegale dei minerali nella provincia del Nord Kivu sta prosperando. I trafficanti appartengono per lo più ai ranghi delle FARDC e del CNDP. Ognuno si organizza per avere una miniera e controllarla.

I ribelli delle Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR), rimpatriati in Ruanda, ritornano nella RDCongo, “cacciati via dal potere di Kigali”. Secondo alcune fonti, due di loro sono stati catturati dalle FARDC a Runyoni nel territorio di Rutshuru e hanno ammesso di essere membri delle FDLR. La presenza dei ribelli hutu ruandesi traumatizza la popolazione che vive in uno stato di stress permanente.

Si segnala anche che popolazioni ruandesi stanno occupando vaste aree in questa parte del Nord Kivu, facendo grandi affari mediante l’estrazione e la vendita del coltan. Inoltre, la popolazione non capisce perché il colonnello Bahati, delle FARDC, che ha cercato di pacificare un po’ la zona, sia stato sostituito da un ufficiale CNDP per ordine dello Stato Maggiore Generale delle FARDC. Questo è il caos in cui vive la popolazione che è ben convinta che la creazione del nuovo movimento del M23 serva solo a rivitalizzare il CNDP.

Kigali non agisce da solo.

Alcune fonti informano che l’Alto Commissariato dell’Onu per i Rifugiati (UNHCR), lavorerebbe in complicità con Kigali per ricondurre nel Kivu la popolazione di lingua Kinyarwanda. Ma affermano che non si riesce a capire chi è congolese e chi non lo è. Questo è forse premeditato in quanto, comunicano le stesse fonti, nel 2004 è stato dato l’ordine di non fare distinzione tra nazionalità congolese o ruandese. I capi tradizionali che hanno voluto effettuare un censimento ne sono stati impediti. Ciò significa che, oggi, delle persone possono avere contemporaneamente il Kirangamutu (carta d’identità ruandese) e il certificato elettorale congolese che vale come carta d’identità congolese.

Circa le ONG, sia nazionali che internazionali, osservano le fonti, lavorano solo per i propri interessi. Sono gli affari che le attirano, a partire dal 1994, quando gli Hutu ruandesi arrivarono massicciamente nelle due province del Kivu, dopo il genocidio ruandese.

Sul ruolo della Missione delle Nazioni Unite per la Stabilizzazione del Congo (MONUSCO), si è constatato che non riesce a porre fine all’insicurezza e alle grandi violazioni dei diritti umani. Secondo le fonti citate, nulla di concreto è stato fatto per la famosa stabilizzazione e il ripristino della pace.

Secondo le stesse fonti, la popolazione sperava nel cambiamento politico, proprio per ristabilire la pace. Ma le cose sono andate diversamente. Addirittura prima della pubblicazione dei risultati finali delle elezioni presidenziali del 28 novembre 2011, molti signori della guerra che si dicevano congolesi, hanno attraversato la frontiera e sono passati in Ruanda. Tra la popolazione, lo spirito di resistenza è reale, specialmente a Rutshuru e Masisi, dove la gente cerca di affermarsi. Sfortunatamente, la popolazione constata che coloro che tirano le file sono a Kinshasa.

Secondo il deputato Zacharie Ne Muanda Nsemi, leader dell’ex movimento politico-religioso Bundu Dia Kongo (BDK), la questione della sicurezza del Kivu è molto complessa, perché si trova al centro degli interessi di vari protagonisti, sia nazionali che internazionali. La guerra del Kivu non è solo una questione delle multinazionali. È anche questione di alcune personalità originarie del posto che ne traggono ingenti benefici. Essi operano nell’ombra e coordinano le operazioni dai loro uffici a Kinshasa. Secondo lui, è questa classe di connazionali che stanno appoggiando i veri responsabili della guerra. Con tristezza, Ne Muanda Nsemi ha osato affermare che «alcuni dei nostri fratelli dell’Est che si trovano nel circuito politico del paese, non sono sinceri», aggiungendo che «durante il giorno dicono una cosa e di notte affermano il contrario».

Per quanto riguarda una possibile soluzione, il deputato dell’opposizione eletto nella circoscrizione della Funa (Kinshasa) evoca anche la pista militare. «Per una soluzione duratura alla violenza che si è instaurata all’Est, il paese ha bisogno di una forza pubblica ben organizzata, strutturata e attrezzata, composta da uomini integri», ha affermato Ne Muanda Nsemi, prima di denunciare il fallimento del processo di integrazione delle truppe dei vari gruppi armati nell’esercito nazionale. Egli afferma che «il processo di integrazione delle truppe non è stato per nulla trasparente, poiché molti elementi integrati sono, in realtà, delle spie infiltrate nell’esercito nazionale per una missione specifica». Secondo il deputato, finché Kinshasa e Kigali non giocheranno a carte scoperte per risolvere la questione delle FDLR, ciò che attualmente si fa, o non si fa, a Kinshasa è pura distrazione. La guerra del Kivu ha senza dubbio origini lontane o storiche. Tuttavia, la presenza sul suolo congolese di forze negative, come le cosiddette Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR), sembra essere la causa apparente della guerra. Queste forze ruandesi centrifughe presenti sul suolo congolese dal 1994 sono, per Kigali, il principale pretesto ogni volta evocato per giustificare l’intrusione del suo esercito regolare nella Repubblica Democratica del Congo.

Quindi, Ne Muanda Nsemi non risparmia alcuna critica nei confronti della Comunità Internazionale, in primo luogo l’ONU, che egli accusa di inerzia. Sulla base dell’esperienza congolese e come altri analisti della questione, Zacharie Ne Muanda Nsemi sostiene che l’ONU dovrebbe obbligare le autorità di Kigali a risolvere il problema al suo interno. Secondo lui, questa soluzione richiede l’organizzazione di un dialogo aperto tra le diverse componenti ruandesi, soprattutto tra i due gruppi etnici fratelli-nemici, Hutu e Tutsi. Questo schema, afferma Ne Muanda Nsemi, potrebbe ridare speranza e fiducia alle popolazioni Hutu che vivono nella RDC e, in particolare, ai membri delle FDLR, ai militari ex-FAR e ai miliziani Interahamwe che si considerano ancora minacciate dal potere a Kigali.