BURUNDI
Rottura totale del dialogo politico tra governo e opposizione, proclami di nuove ribellioni, sparizioni forzate e omicidi irrisolti, pressioni sulla stampa indipendente, processi su questioni di sicurezza dai risvolti oscuri: l’anno 2012 in Burundi si annuncia molto teso, forse più del 2011, che ha segnato passi indietro nel processo di pacificazione e di ricostruzione della democrazia dopo la guerra civile.
Con un discorso alla nazione, il presidente Pierre Nkurunziza, ex capo della ribellione di matrice hutu eletto democraticamente nel 2005, ha annunciato che non intende cercare una soluzione consensuale con i partiti di opposizione che hanno contestato le elezioni del 2010, ignorando gli appelli al dialogo suggeriti da diversi attori, tra cui la Conferenza episcopale. Nell’anno appena iniziato è quindi probabile vedersi allargare ulteriormente il divario tra la classe politica.
Il presidente, forte di una maggioranza assoluta in Parlamento – i partiti d’opposizione avevano boicottato le elezioni parlamentari e presidenziali del 2010 – ha anche annunciato “consultazioni” sulla Costituzione. Con l’attuale panorama politico, non avrà problemi a far accettare eventuali emendamenti a suo favore. La società civile osserva e denuncia un inasprimento dei toni, sia da parte del governo che dell’opposizione: entrambi sembrano voler scegliere la via delle armi e risolvere le loro divergenze attraverso un pericoloso rapporto di forza. Negli ultimi mesi si sono viste spuntare sedicenti “ribellioni” con basi in Tanzania e nell’est della Repubblica Democratica del Congo.
A suscitare perplessità è anche la creazione, a breve, di una Commissione verità e riconciliazione incaricata di fare luce sugli anni bui della storia del paese tra il 1962 e il 2008, allorché – s’interrogano alcuni – sono in atto nuovi violenze che minacciano la stabilità del paese e alle quali si chiede una risposta.
REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO
Si entra nel 2012 con una spaccatura della classe politica, in seguito alla rielezione, a dicembre, del presidente Joseph Kabila, alla guida del paese già dal 2001. Una rielezione contestata dall’opposizione e criticata, nelle sue modalità, dagli osservatori nazionali e internazionali.
È probabile che i partiti d’opposizione, a cominciare dall’Unione per la democrazia e il progresso sociale (Udps) dell’anziano oppositore Etienne Tshisekedi, autoproclamatosi ‘vero’ presidente, decida di boicottare le elezioni provinciali in programma a marzo. Le tensioni registrate nel paese dopo le presidenziali potrebbero riproporsi tra qualche settimana, all’annuncio da parte della Commissione elettorale indipendente nazionale (Ceni) dei risultati delle elezioni parlamentari, alle quali si sono candidati in circa 19.000.
L’ipotesi di annullare e ripetere le elezioni, nonostante accuse di brogli massicci, sembra ormai difficilmente realizzabile. La comunità internazionale, nonostante qualche minaccia verbale e annunciata sanzione economica, non prende una posizione molto forte mentre i congolesi, ridotti in condizioni di povertà e sottosviluppo – nel 2011 il Congo è stato classificato ultimo dal programma dell’Onu per lo sviluppo – non possono reggere a lungo una situazione di stallo nelle attività economiche. La sensazione è che il governo sia pronto a governare da solo, anche se non gode di un ampio consenso, e pronto a farlo anche con metodi autoritari. Organizzazioni locali denunciano e temono il protrarsi di arresti arbitrati, sparizioni forzate e pressioni sugli oppositori.
Dall’est del paese, giungono notizie di un riaccendersi di focolai di tensione, che potrebbero essere alimentati anche da nuovi movimenti nazionalisti in reazione alla sempre crescente presenza ruandese. Nel centro del paese, le popolazioni del Haut Katanga potrebbero essere vittime di una nuova emergenza umanitaria a causa della ripresa di violenze da parte di una milizia al soldo di un capo ribelle evaso dal carcere nei mesi scorsi, soprannominato Gedeon. Nel giugno scadrà il mandato della Monusco, la locale missione dell’Onu, più vasta e costosa delle missioni dell’Onu con circa 20.000 esponenti tra militari, poliziotti e civili, rinnovato su base annua. Si dovrebbe andare verso un ridimensionamento della missione, come auspicato da Kabila, a meno che la situazione di sicurezza sul terreno non torni a deteriorarsi.
RWANDA
Punta sullo sviluppo economico con un’apertura illimitata agli investitori stranieri il governo di Kigali. Nonostante le sue piccole dimensioni il Rwanda occupa una posizione strategica nel cuore dell’Africa, dal quale si può facilmente raggiungere gli altri paesi della regione ricchi in risorse naturali, come ad esempio la Repubblica Democratica del Congo.
Lo ha capito bene il presidente Paul Kagame, apprezzato da molti governi occidentali e africani che chiudono un occhio sui suoi metodi dittatoriali, che ha persino riaperto le porte del paese alla Francia, dopo anni di gelo diplomatico.
Il dibattito politico si limita a una serie di processi contro oppositori proclamati, quali Victoire Ingabire Umuhoza, nota dalla comunità internazionale per aver vissuto oltre 15 anni nei Paesi Bassi e poter beneficiare di moderni canali di comunicazione. Cominciato nel settembre scorso, il processo contro la Ingabire potrebbe concludersi entro l’anno, salvo sorpresa, con una probabile condanna. E’ in corso un altro processo, quello in appello contro l’oppositore Bernard Ntaganda.
La spina nel fianco del 2012 per i rwandesi è quella che riguarda la decisione dell’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati, caldeggiata da Kagame, di far cessare la protezione garantita dallo status di rifugiati a tutti i ruandesi all’estero a partire da giugno. La questione ha già sollevato aspre critiche tra i profughi, in particolare per chi teme ritorsioni o discriminazioni una volta tornati nel “paese delle mille colline” teatro di un genocidio nel 1994.
Per Kigali, si tratterà di preparare l’accoglienza degli eventuali rimpatriati. Alcuni analisti hanno ipotizzato un degrado dell’ambiente umanitario e persino della sicurezza regionale, proprio a causa della questione dei profughi, circa 100.000 secondo le stime, la maggior parte nei paesi africani limitrofi.
(Celine Camoin)