Donne nella guerra nella Repubblica Democratica del Congo

Intervento di Teresina Caffi, missionaria saveriana, membro della Rete Pace per il Congo.
Cagliari, 4 novembre 2011

Introduzione: il rapporto Mapping

Il 1° ottobre 2010, l’Alto Commissariato ai Diritti umani dell’ONU pubblicava un rapporto dal titolo: “Rapporto del progetto Mapping riguardante le più gravi violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario commesse tra marzo 1993 e giugno 2003 sul territorio della Repubblica Democratica del Congo”, in breve “Mapping[1]. Tale rapporto dava autorevolezza a innumerevoli testimonianze di quegli anni pubblicate da testimoni e membri della società civile congolese e internazionale.

 

Realizzato grazie a un’inchiesta di sei mesi sul terreno e alla consultazione e verifica di molti documenti fatta da cinque gruppi di ricercatori, il Mapping è una pietra miliare per la conoscenza di quegli anni. Un anno è passato dalla pubblicazione, ma il documento è rimasto pressoché ignorato. La quasi totalità della popolazione della Repubblica Democratica del Congo non ne ha conoscenza: come, infatti, stampare un documento di quasi 600 pagine? La domanda si pone: perché l’ONU non l’ha volgarizzato diffondendone copie a migliaia?

Soprattutto, non si sono tirate le conseguenze di quanto vi è denunciato. Conseguenze giudiziarie: le associazioni della società civile congolese avevano chiesto al Governo congolese l’istituzione di tribunali misti, ma il Parlamento ha bloccato tale proposta. Conseguenze politiche: il regime ruandese responsabile di tanti dei massacri denunciati nel documento continua a ricevere finanziamenti internazionali e il suo presidente è ancora accolto nelle cancellerie di diversi Paesi.

Dal rapporto Mapping traggo alcuni dati sull’impatto che le guerre del decennio 1993-2003 hanno avuto sulle donne (1). In seguito porterò quanto ho potuto personalmente cogliere riguardo a questo tema, come dramma (2), come resistenza (3), come tentativo di lettura biblica (4) e politica (5) per trarre infine qualche conclusione.

 

1. DONNE NELLA GUERRA, SECONDO IL RAPPORTO MAPPING

Il documento dedica quaranta pagine[2] a una panoramica sull’impatto che le guerre hanno avuto sulle donne di ogni età[3]. Ne riportiamo una sintesi, riportando le parole stesse del documento.

Le donne hanno pagato un tributo particolarmente pesante nel corso del decennio 1993-2003, sono state bersaglio d’atti di violenza generalizzati. La violenza in RD Congo s’è accompagnata con un uso sistematico di stupro e aggressioni sessuli da parte delle forze combattenti. Tali violenze si sono verificate: durante i combattimenti, durante le ritirate, dopo i combattimenti, presso le basi militari, nelle zone occupate, durante i pattugliamenti, durante le rappresaglie contro la popolazione e durante attacchi di gruppi armati isolati. Si sono prodotte anche in tempi di pace o in zone lontane dal conflitto. In grande maggioranza, le violenze sessuali sono state opera di attori armati, ma anche dei civili a volte vi hanno partecipato.

La generalizzazione di queste violenze che hanno toccato donne di ogni età, comprese bambine anche di cinque anni e donne anziane, è dovuta a: impunità, indisciplina, odio etnico, normalizzazione della violenza, credenze esoteriche, costrizione mentale esercitata sui ragazzi soldato, incoraggiamento attivo o passivo della gerarchia militare. La situazione di inferiorità sociale della donna rispetto all’uomo ha favorito le violenze sessuali in tempo di guerra[4]

La ricerca ha permesso di mettere in evidenza il carattere ricorrente, generalizzato e sistematico di questo fenomeno e di confermare dei casi di violenze sessuali di massa fino allora poco documentati.

Mapping riconosce che le cifre e i casi citati non sono che una minima parte. L’impunità è generalizzata e anche i pochi casi passati in giudizio, le persone condannate sono quasi sempre evase dal carcere.

 

Marzo 1993 – settembre 1996: fallimento del processo di democratizzazione e crisi regionale

Negli ultimi anni del regno di Mobutu, le violenze sessuali erano commesse soprattutto da funzionari dello stato zairese, compresi i militari (FAZ). Questi “grandi” godevano di un potere assoluto sui civili nei loro ambiti d’influenza. Negli anni 1995-1996 vengono denunciati stupri e prostituzione forzata delle donne nelle prigioni di Kisangani, Kinshasa e nel 1997 nel Maniema.

Donne militanti dei partiti d’opposizione, sorelle, mogli o figlie di oppositori sarebbero[5] state rapite, stuprate o torturate dalle forze di sicurezza, particolarmente la BSRS, la Guardia civile e la DSP (Division spéciale présidentielle). Nel 1996, quando il regime di Mobutu cominciava ad essere minacciato, a Kinshasa, Goma e Uvira diverse donne sono state imprigionate, stuprate, picchiate da servizi d’informazione e dalla gendarmeria. In quegli anni, si registrano molte violenze sessuali anche in occasione delle “operazioni di pacificazione” nel Nord Kivu da parte delle Forze Armate Zairesi (FAZ); nel Maniema, elementi della gendarmeria e della guardia civile e delle FAZ avrebbero commesso decine di stupri durante perquisizioni, saccheggi e controlli alle barriere sulle strade e stupri collettivi durante saccheggi di villaggi.

Anche milizie tribali hanno stuprato numerose donne sia nel Nord-Kivu che nel Sud-Kivu, dove, nel 1996, nei villaggi di Kabela e Lueba, in territorio di Fizi, elementi locali appoggiati dalle FAZ hanno stuprato donne banyamulenge dopo aver massacrato gli uomini.

 

Da settembre 1996 a luglio 1998 (prima guerra e regime dell’AFDL) [6]

Violenze sessuali sono state commesse dalle truppe dell’AFDL/APR, ma anche durante il regime dell’AFDL. Nel settembre 1996, nel territorio di Fizi, nel Sud-Kivu, diverse donne e ragazze banyamulenge sarebbero state stuprate anche da decine di soldati e poi uccise, con le loro famiglie. Donne banyamulenge sarebbero state stuprate anche nel Nord-Kivu.

In questi anni le vittime sono state così numerosi che non si è sempre tenuto conto specificamente degli stupri. Stupri sarebbero stati commessi dalle truppe dell’AFDL/APR durante gli attacchi ai cinque campi di rifugiati hutu del Nord-Kivu in ottobre e novembre 1996. Delle donne sarebbero in seguito state torturate, mutilate e uccise, nel corso dei grandi massacri di rifugiati a Hombo in dicembre 1996, a Kausa presso Nyamitaba in dicembre 1996 e a Humule, presso Goma, nell’aprile 1997, e a Kilungutwe, Kalama e Kasika nel Sud-Kivu nell’agosto 1998.

Durante la loro avanzata, i militari dell’AFDL/APR hanno anche stuprato molte donne zairesi, specialmente nel Nord-Kivu, in ottobre-novembre 1996; in Provincia Orientale, in Equatore e nel Bandundu nel maggio 1997.

Fuggendo davanti all’AFDL/APR, le FAZ avrebbero pure commesso molti stupri, a volte anche di uomini. Molte donne e ragazze sarebbero state rapite, usate come schiave sessuali e obbligate a portare il bottino dei saccheggi. Questo sarebbe accaduto a metà novembre 1996 a Butembo e a Beni (Nord-Kivu) in novembre-dicembre 1996 a Bunia, a Opala (sud-est della Provincia Orientale) e a Komanda, nel distretto dell’Ituri; tra dicembre ’96 e fine febbraio ’97 a Buta e Bondo (Bas-Uele, Provincia Orientale), da fine febbraio a inizio marzo 1997 nel territorio di Kailo, nel Maniema, e infine nel maggio 1997 nell’Equatore e nel Bandundu. A Bunia nel Nord-Kivu le FAZ avrebbero violentato così selvaggiamente le ragazze del liceo Likovi che sette fra loro sarebbero morte; avrebbero anche stuprato donne alla maternità e religiose in un convento. Anche i rifugiati hutu in fuga avrebbero commesso diversi stupri.

Preso il potere, l’AFDL/APR ha continuato a tollerare gli stupri commessi dai suoi militari; ha sostituito nei campi l’esercito di Mobutu, le FAZ, e ha stuprato numerose mogli di militari che vi si trovavano, soprattutto a Kinshasa e nel Bas-Congo. Ragazze che contravvenivano alla proibizione di portare pantaloni o minigonne sono state umiliate pubblicamente, denudate e battute con assi chiodati.

L’esercito FAC/APR[7] avrebbe continuato a stuprare donne in diverse province della RD Congo, soprattutto al Nord e Sud-Kivu, a Kinshasa e a Lubumbashi, talora con aggravanti di crudeltà. Nel Nord-Kivu nell’aprile 1998, decine di donne sarebbero state stuprate e degli uomini costretti all’incesto, perché accusati di sostenere i Mayi-Mayi. La pratica di violentare donne familiari di dissidenti politici è continuata.

 

Agosto 1998-gennaio 2001: Seconda guerra

È stato un periodo caratterizzato da molti fronti di guerra tra forze governative, gruppi ribelli, eserciti stranieri, in un paese diviso in due, con, ad ovest, una zona controllata dal Governo e, ad est, una zona controllata dai ribelli. Le violenze sessuali sono state originate da: scontri armati, persecuzione contro certi gruppi etnici, repressione con ogni mezzo dell’opposizione e l’impunità quasi totale.

Nella zona sotto controllo governativo, i militari hanno stuprato donne – spesso ragazzine e a volte anche bambine – durante gli scontri militari e la conquista di città, lo stazionamento e la fuga. Nel Bas-Congo, all’inizio di agosto 1998, durante la loro breve incursione, le forze dell’ANC[8] e dell’APR avrebbero commesso stupri nelle principali città della provincia.. Quando a fine agosto le forze angolane filo-governative (FAA) hanno ripreso le città del Bas-Congo, avrebbero violentato a loro volta sistematicamente delle donne.

Le FAC hanno pure commesso stupri e rapimenti di donne nella Provincia Orientale, in Equatore e nel Kasai Occidentale. Donne di morfologia tutsi sono state maltrattate, arrestate, stuprate a Kinshasa e Lubumbashi. Donne dell’opposizione o simpatizzanti della ribellione sono state arrestate, fatte circolare nude, imprigionate con uomini, violentate. Nell’impunità regnante, numerosi abusi sono stati commessi dalle FAC contro donne e ragazze, a volte per punire le famiglie di non aver denaro da dare o di essere oppositori.

Nella zona sotto controllo dei ribelli. I militari dell’ANC/APR hanno fatto massacri e violentato donne e ragazze a volte uccidendole in seguito. Stupri sono stati commessi da parte degli eserciti ugandese e ruandese durante la lotta per la conquista di Kisangani in 1999 e 2000.

Durante il conflitto tra l’ANC/APR e i Mayi-Mayi e in certe regioni controllate dal CNDD-FDD[9], questi gruppi armati hanno gareggiato in crudeltà negli attacchi contro le donne. Per esempio nel Sud-Kivu, in agosto 1998, durante il grande massacro di Kasika-Kilungutwe e Kalama, l’ANC/APR è stato l’autore di stupri brutali, sventramenti di donne e stupri con bastoni, che hanno causato un numero imprecisato di vittime. Elementi dello stesso movimento avrebbero commesso altri stupri a Bitale in territorio di Kalehe, contro donne e ragazze accusate di sostenere i Mayi-Mayi. In centro città di Mwenga, nel novembre 1999, elementi dell’ANC/APR avrebbero sepolto vive 15 donne, dopo averle torturate, stuprate, certune con bastoni e averle sottoposte a trattamenti crudeli, disumani e degradanti, come l’introduzione del peperoncino nelle parti genitali. Alcune vittime sarebbero state fatte girare nude nel villaggio.

In giugno 2000, in un contrattacco contro i Mayi-Mayi e il CNDD-FDD, i militari dell’ANC/APR avrebbero violentato e ucciso diverse donne e bruciato delle case. Hanno fatto stupri anche nel territorio di Kalehe nel 1999 e nei territori di Baraka e Fizi nel 2000.

Nella zona di Walikale, dei militari dell’ANC/APR avrebbero stuprato donne davanti ai loro mariti, alle loro famiglie, alle loro comunità durante attacchi contro i loro villaggi. Anche nella provincia del Maniema un gran numero di donne sono state violentate da elementi dell’ANC/APR.

Anche i Mayi-Mayi avrebbero fatto stupri di donne, spesso accompagnandoli con crudeltà inaudite, durante attacchi a villaggi e come rappresaglia: a Uvira, nei territori di Kalehe, Walungu e Mwenga nel Sud-Kivu, e nel Maniema. A Kamituga e Walungu avrebbero tagliato i seni delle donne obbligandole a mangiarli prima di ucciderle, per punirle di aver appoggiato una fazione nemica o perché avevano rifiutato i lavori forzati. I Mayi-Mayi avrebbero stuprato donne sulle strade e nei campi; si sarebbero accaniti in particolare contro le donne accusate di stregoneria, come a Mwenga e a Kitutu (Sud-Kivu) nel territorio di Walikale (Nord-Kivu) e nel Maniema nel 1999. Tra la fine del 1999 e metà 2000, nel conflitto tra Mayi-Mayi e RCD-G si valuta tra 2.500 e 3.000 il numero delle donne stuprate, spesso collettivamente e brutalmente.

Anche le milizie hutu, ruandesi (AliR/FDLR) e burundesi (FDD/CNDD), avrebbero commesso stupri in modo generalizzato e sistematico, con una brutalità bestiale. Nel Sud-Kivu e Nord-Kivu, numerose donne sono state rapite per servire da schiave sessuali; alcune sarebbero morte in seguito alle brutalità subite.

Sia queste milizie che l’ANC/APR, ogni volta che riprendevano un territorio si sarebbero date a stupri. Sospettate dagli uni e dagli altri di appoggiare l’avversario, le popolazioni subivano rappresaglie da entrambe le parti, come a Chivanga, in territorio di Kabare (Sud-Kivu), nel 1998, a Mwitwa nel territorio di Walikale (Nord-Kivu) nel 1999; e nei dintorni di Kilambo, nel territorio di Masisi nel 2000, dove gli uomini dell’ANC/APR avrebbero legato gli uomini e stuprato le loro mogli davanti a loro prima di ucciderli.

Rapimenti e stupri di donne e bambine sarebbero stati compiuti anche dai ribelli ugandesi dell’ADF/NALU[10] nel territorio di Beni nel Nord-Kivu, intorno agli anni 2000-2001. Nel 1999 militari banyamulenge, tornando alle loro terre, nei territori di Fizi e d’Uvira, avrebbero rapito e stuprato donne che andavano nei campi.

Nei territori controllati dal RCD/Goma (soprattutto nei due Kivu, ma anche nella Provincia Orientale e nel Maniema), le violenze sessuali si sono dirette anche verso donne sospettate d’essere oppositrici o familiari di oppositori, violentate spesso davanti al marito e ai figli e poi arrestate, a volte chiuse in container, picchiate e a volte uccise. La tortura da parte del RDC/Goma nelle prigioni ha incluso aspetti sessuali come l’inserzione di peperoncino nelle parti genitali e le mutilazioni genitali.

Molte ragazze e donne che andavano ai campi o alla sorgente o in cerca di legna sono state violentate da militari dell’ANC/APR o da loro rapite per diventare schiave sessuali. Lo stesso avveniva in prossimità delle loro basi militari. Le rare donne coraggiose che avevano osato rifiutare le avances sarebbero state spesso giustiziate con altri membri della loro famiglia per dare l’esempio.

Dovunque era diffuso lo stupro collettivo, con brutalità che sembrano non avere limiti. Nell’ottobre 1999, nel Kasai orientale, a Musangi, dieci donne sarebbero state frustate e poi stuprate da diversi soldati dell’ANC/APR. Nel Sud-Kivu delle donne sarebbero state regolarmente stuprate da decine di soldati.

In questi anni la situazione nelle zone sotto controllo del RCD-Goma e dei suoi alleati era così volatile e i gruppi armati così numerosi e variabili che è stato difficile in certi casi identificare gli autori degli stupri. Bastoni e canne di fucile sono stati messi nella vagina, a volte i violentatori hanno sparato alle parti genitali; a Ngweshe (Sud-Kivu) nel 2000 una donna incinta sarebbe stata calpestata dai militari per farla abortire.

 

Gennaio 2001-giugno 2003: Verso la transizione

 

Nelle zone sotto controllo governativo, militari, polizia, personale penitenziario avrebbero continuato a perpetrare violenze sessuali, in genere nella piena impunità. Le FAC stanziate nelle città o in spostamento avrebbero agito con brutalità e stuprato donne, per esempio nel Kasai orientale, nel Kasai occidentale, nel Maniema e nel Katanga.

 

Nelle zone sotto controllo dei ribelli, nonostante i diversi accordi di cessate il fuoco, le popolazioni hanno continuato a subire le conseguenze dei conflitti, particolarmente in Ituri, dove la violenza si è intensificata nel quadro del conflitto tra Hema e Lendu; anche nel Sud-Kivu. Nella confusione di alleanza fatte e disfatte, gli stupri hanno continuato a imperversare.

A partire dall’occupazione del sud della Provincia Orientale da parte del RCD/Goma, ci sono stati nella provincia stupri su grande scala, nel quadro del conflitto in Ituri come pure durante gli scontri tra l’ALC[11] e suoi alleati contro il RCD/ML[12] e il suo esercito, l’APC (Armée du peuple congolais). Elementi dell’ANC/APR si sarebbero dati a molti stupri in diversi villaggi vicini a Masimango, nel territorio di Ubundu, per reprimere un supposto appoggio della popolazione ai Mayi-Mayi[13]. Durante la repressione sanguinosa dell’ammutinamento di Kisangani il 14.05.2002, degli elementi dell’APR sostenitori del RCD/Goma avrebbero commesso molti stupri nel comune di Mangobo e nelle vicinanze dell’aeroporto, e rapito donne per violarle all’aeroporto e commesso atti di mutilazione sessuale su uomini.

Le violenze intercomunitarie del 1999-2003 in Ituri sono state caratterizzate da molte violenze sessuali e riduzione in schiavitù sessuale anche di bambine di una decina d’anni, e mutilazioni genitali sia da parte delle milizie lendu (diventate poi FNI e FPRI) che delle milizie hema dell’UPC, a Bunia, a Songolo, a Nyakunde, a Fataki, a Nizi.

Le truppe dell’ALC/MLC in Provincia Orientale e nel Nord-Kivu avrebbero commesso stupri e violenze sessuali in modo sistematico e generalizzato, soprattutto durante gli scontri con l’APC/RCD-ML, per esempio nella zona intorno a Madesi e a Masebu, in territorio di Rungu. Le donne pigmee della regione hanno pagato un pesante tributo all’avanzata delle truppe del MLC, del RCD-N e dell’UPC verso Beni e Butembo e poi durante la loro ritirata. In particolare, nel 2002-2003, a causa di superstizione e di credenze rituali abiette, le donne pigmee sono state stuprate, assassinate, sventrate e a volte anche mangiate. Altri stupri sarebbero stati commessi da militari dell’ALC/MLC e dell’APC/RCD-ML nel 2002, per esempio nel territorio di Watsa.

Nel Nord-Kivu, nella lotta del RCD-Goma contro i Mayi-Mayi, le FDLR[14] e, dal 2003, contro il RCD-ML, per il controllo della provincia, numerosi sono stati gli stupri commessi da tutte le parti in conflitto e delle donne sarebbero state ridotte in schiavitù sessuale. Ad esempio, nel campo militare del RCD-Goma a Mushaki, a ovest di Goma, delle ragazzine sarebbero servite da “mogli” di militari adulti e a volte stuprate da diversi militari.

Anche i Mayi-Mayi e le FDLR avrebbero continuato a stuprare e rapire donne come nel periodo precedente. In certi casi, lo scopo sarebbe stato di provocare gravidanze forzate e aumentare il numero dei ruandofoni nella regione. Durante i fatti di Mambasa, avvenuti tra il 31.12.2002 e il 20.01.2003, le donne nande e pigmee sono state un bersaglio primario. In gennaio 2003 si registrano almeno 95 stupri nelle città di Beni, Butembo, Mangina, Oicha ed Erengeti.

Nel Sud-Kivu, negli anni 2001-2003, benché ufficialmente sotto occupazione del RCD-Goma, diversi gruppi si scontrano, e tutti ricorrono alle violenze sessuali. I casi sono innumerevoli e l’impunità è generale. I militari del RCD-Goma, in particolare, dovunque siano, stuprano, saccheggiano, e, in prigione, violentano le donne prigioniere. A Baraka, in territorio di Fizi, impressionante è il numero delle donne, ragazze e bambine stuprate. Tra luglio e agosto 2002, degli elementi del CNDD-FDD avrebbero stuprato almeno 22 uomini in diversi villaggi della penisola dell’Ubwari, accusandoli di sostenere il RCD-Goma.

Nel territorio di Walungu le truppe dell’ANC/APR, nell’offensiva contro i Mudundu-40 e le popolazioni accusate di sostenere questo gruppo Mayi-Mayi,  nel solo mese d’aprile 2003 hanno violentato 300 donne.

Anche le AliR/FDLR avrebbero stuprato donne soprattutto nella zona di Irhambi/Katana e rapito donne tenendole in schiavitù sessuale anche per anni, ad esempio nei territori di Kalehe e Kabare. Le ragazze e donne rapite erano legate alle anche e minacciate di morte in caso di rifiuto dello stupro o di tentativo di fuga. In certi casi, le donne che resistevano erano scottate, mutilate o battute con rami d’albero. Altre sarebbero state sgozzate davanti alle altre donne.

Nel 2001-2002, i Mayi-Mayi hanno continuato a stuprare, a schiavizzare, torturare donne e ragazze, per esempio a Shabunda nel Maniema.

Tra 1998 e 2003, elementi dell’ANC/APR, fei Mayi-Mayi, degli ex-Far/Interahamwe/AliR/FDLR e dei FNL (ribelli burundesi) avrebbero stuprato un numero indeterminato di donne nella Piana della Ruzizi e nei territori d’Uvira e di Fizi spesso mentre esse andavano al campo o al mercato. Anche elementi del FDD, ribelli burundesi, avrebbero commesso stupri e brutalità contro donne e uomini nel territorio di Fizi. Le donne pigmee della regione di Bunyakiri e del Masisi (alla frontiera fra il Nord-Kivu e il Sud-Kivu) hanno subito la stessa sorte.

I casi di stupri documentati tra 1998 e 2003 nel territorio di Fizi, nel Sud-Kivu, sono più di 1660 (cifra certo ampiamente inferiore alla realtà), di cui 89 su uomini, commessi per la maggior parte dal FDD. Tra il 2000 e il 2003, nella sola chefferie di Bakasi, nel territorio di Shabunda, si registrano 2500 casi di violenze sessuali, per opera di Mayi-Mayi, degli AliR/FDLR e in minor misura dell’ANC/APR.

Nella provincia del Maniema, i Mayi-Mayi hanno intrapreso una guerriglia contro l’ANC/APR, e sono soprattutto i Mayi-Mayi che hanno stuprato su larga scala, spesso accompagnando l’atto con torture e gesti degradanti; per esempio tra 2002-2003 nel solo villaggetto di Lubelenge sono stati registrati 238 casi di stupro. I Mayi-Mayi hanno spesso obbligato dei membri di una stessa famiglia ad avere relazioni sessuali in pubblico. Donne incinte hanno spesso perso il bambino. Anche uomini sarebbero stati stuprati. Tra il 2002 e il primo trimestre 2003, centinaia di donne originarie di Kalima sarebbero state rapite e usate come schiave sessuali da parte dei Mayi-Mayi, con abusi di ogni genere; donne incinte avrebbero perso il loro bambino.

Nella provincia del Katanga, al nord, a Malemba Nkulu, elementi Mayi-Mayi e FDLR loro alleati si sarebbero dati a numerosi stupri e rapimenti. Tra il 2001 e il 2003, decine di bambine di 8-12 anni sarebbero state rapite da Mayi-Mayi, obbligate a trasportare pesi e a preparare il cibo di giorno, e stuprate la notte. Mutilazioni genitali hanno fornito amuleti a dei Mayi-Mayi. Anche le FAC che li combattevano avrebbero commesso stupri.

 

Molteplici aspetti della violenza

 

Tra 1993 e 2003, la violenza sessuale è stata una realtà quotidiana che non ha lasciato respiro alle Congolesi. Il Mapping descrive alcune forme di violenza sessuale:

1. Violenza sessuale come strumento di terrore.

Spesso, la violenza sessuale con tutte le atrocità aggiunte che l’accompagnano, è usata per terrorizzare le popolazioni e sottometterle.

Torture e umiliazioni. Le violenze sessuali sono servite per umiliare, punire oppositrici e le loro famiglie.

Stupro forzato fra vittime. Gli aggressori hanno spesso obbligato i membri di una stessa famiglia ad avere relazioni incestuose fra loro. Questo è stato testimoniato ovunque nel paese, ma soprattutto nel Nord-Kivu, Sud-Kivu, soprattutto nel territorio di Shabunda, e nel Maniema. I familiari sono stati costretti ad assistere agli stupri collettivi, obbligati a danzare nudi o ad applaudire durante lo stupro.

Politica deliberata di diffusione dell’AIDS. Secondo la denuncia fatta da certe vittime del Sud-Kivu, del Maniema e di altre province, esisterebbe una politica deliberata di propagazione del VIH/sida da parte delle forze combattenti, affinché le donne lo trasmettano al resto della comunità.

Violenze sessuali durante le vittorie o le sconfitte. Gli eserciti in ritirata hanno spesso stuprato e rapito per vendicarsi della sconfitta. Così, per esempio, hanno fatto le FAZ nella loro ritirata davanti alle truppe dell’AFDL/APR nel 1996-1997. La stessa cosa avrebbero fatto le FAC ritirandosi dall’Equatore e dalla provincia Orientale nel 1999. Anche le truppe vincitrici hanno commesso stupri durante la presa di una città o di un territorio. A volte lo stupro è “offerto” in dono dai comandanti alle truppe, come sarebbe accaduto in Ituri nel 2003 con le truppe dell’UPC. La violenza sessuale è stata anche usata come strumento di sottomissione dei vinti, come dopo la presa di Kinshasa nel 1997 o dopo la repressione dell’ammutinamento di Kisangani nel 2002. Anche a Uvira, a più riprese le donne sarebbero state stuprate in occasione della presa della città da aprte di diversi gruppi: da parte dell’ANC/APR/FAB nel 1998, dei Mayi-Mayi e militari dissidenti banyamulenge nell’ottobre 2002 e di nuovo da elementi dell’ANC/FRD, in rappresaglia del loro supposto sostegno ai Mayi-Mayi.

 

2. Schiavitù sessuale

Le donne sono state spesso rapite, considerate bottino di guerra e ridotte in schiavitù sessuale. I Mayi-Mayi, gli Interahamwe/ex-FAR/AliR/FDLR, i ribelli ADF/NALU e i burundesi (FDD) avrebbero praticato il rapimento su larga scala, in genere di ragazze. Le schiave sessuali erano maltrattate, rinchiuse, legate, malnutrite e umiliate. Alcune di loro avrebbero assistito allo sventramento di alcune di loro compagne incinte e al cannibalismo. Le donne rapite a Bogoro durante l’attacco delle milizie lendu e ngiti del FNI e del FRPI hanno raccontato che alcune di loro erano state immerse in fosse d’acqua da cui erano tratte per essere regolarmente violentate da soldati e comandanti. A volte le prigioniere erano violentate da prigionieri. Anche elementi delle FAZ, dell’AFDL, dell’APR, delle FAC, dell’ANC e dell’UPC avrebbero rapito ragazze per ridurle in schiavitù sessuale.

Caso particolare dei bambini/e-soldato. Le violenze sessuale commesse su bambini associati a forze e gruppi armati (EAFGA) s’aggiungono alle altre violenze da essi subite. Quando vengono arruolati a forza, molti bambini assistono allo stupro della loro madre o della loro sorella. Elementi dell’ANC/APR avrebbero violato delle bambine tutta la notte, frustandole in caso di tentativo di fuga. Secondo le testimonianze solo le bambine erano stuprate nei campi di addestramento militare. Certe bambine dovevano anche occuparsi delle faccende domestiche. Nei campi dell’UPC. O comandanti obbligavano le ragazze incinte ad abortire. I bambini-EAFGA, chiamati Kadogo, sono stati forzati a commettere abusi, tra cui stupri, per “indurirsi”. Durante gli attacchi, delle ragazze erano condotte da loro perché le violassero davanti alla popolazione del villaggio e ai soldati adulti. In caso di rifiuto, i Kadogo erano giustiziati.

 

3. Violenze sessuali commesse su base di appartenenza etnica

Dal 1993, delle violenze sessuali appaiono sul fondo di conflitti interetnici, come nel caso del conflitto tra i Banyarwanda e gli Ngilima nel Nord-Kivu. Le donne tutsi e banyamulenge sono state a due riprese vittime della propaganda governativa anti-tutsi, nel 1996 e nel 1998. Diverse di loro sarebbero state stuprate a Kinshasa dai militari del governo e nel Sud-Kivu dai miliziani bembe. Durante la caccia ai rifugiati hutu ruandesi, le truppe dell’AFDL/APR avrebbero a volte stuprato delle donne prima di ucciderle, come per esempio durante i massacri di rifugiati di Hombo nel 1996 (Nord-Kivu) e a Kilungutwe, Kalama e Kaska (Sud-Kivu) nell’agosto 1998. In Ituri, le donne hema o lendu sono successivamente prese di mira dai diversi gruppi armati a motivo della loro appartenenza etnica. Sarà in seguito la sorte delle donne nande, pigmee e di altre etnie.

 

4. Violenze sessuali commesse in nome di pratiche rituali

Secondo certe superstizioni e credenze abiette, la relazione sessuale con vergini, bambine, donne incinte o allattanti o pigmee permetterebbe di guarire da certe malattie o di diventare invincibili. Dei Mayi-Mayi avrebbero violato delle donne per rendersi invincibili e ottenere i cosiddetti “poteri magici”. Lo stupro neutralizzerebbe il potere magico delle donne anziane, custodi dei feticci. Dei Mayi-Mayi avrebbero torturato a morte delle donne accusate di aver gettato su di loro il malocchio. Inoltre, spesso i Mayi-Mayi portavano parti del corpo delle loro vittime come amuleti. Certi stregoni, come in Katanga, avrebbero tagliato e fatto seccare organi genitali maschili e femminili per farne dei feticci, altri avrebbero usato dei feti. Anche elementi del MLC e del RCD-N avrebbero fabbricato amuleti con organi sessuali seccati.

 

Conclusione

Solo un minimo numero di casi di violenza sessuale raggiunge il sistema di giustizia. Quando qualcuno viene imprigionato per questo, evade quasi sempre. Se tutto questo ha potuto succedere, è perché i capi lo hanno permesso. L’ampiezza e la gravità delle violenze sessuali sono direttamente proporzionali alla mancanza di accesso delle vittime alla giustizia e che l’impunità che ha regnato durante questi ultimi decenni ha reso le donne ancora più vulnerabili di prima. Il Mapping auspica la messa in atto

 “di meccanismi di giustizia transazionale che tengano conto di questo problema, dei bisogni delle vittime, di quelli delle loro comunità come pure della necessità di ricostruire un avvenire per la società congolese, nel quale le donne abbiano una parte di rilievo, e le ingiustizie socioculturali, come pure le diseguaglianze tradizionali, politiche e strutturali, siano corrette. Infine, per lottare efficacemente contro le violenze sessuali, occorre una riforma del settore della giustizia e della sicurezza.” (n. 654).

 

 

2. DISTRUGGERE LE DONNE

 

Quanto è profondo l’abisso?

In questi anni di guerra e guerriglia nella provincia del Sud-Kivu, nell’est della RD Congo, cioè dal 1996 ad oggi, le donne sono passate dall’innocenza di credere che la guerra riguardasse solo gli eserciti o almeno solo gli uomini, alla sorpresa di vedersi obiettivo di eserciti e bande e nelle forme più umilianti, alla fuga spesso inutile, all’umiliazione senza fine, talora alla morte, e anche, spesso alla disillusione di fronte a un’assistenza umanitaria che approfitta della loro tragedia[15].

Lo stupro è stato banalizzato dalla sua ampiezza e incoraggiato dall’impunità. Esso ha interessato anche uomini e ragazzi, ma soprattutto donne. Nessuna età era troppo bassa o troppo alta per scamparvi. La donna è stata stuprata non solo da soldati, ma anche da criminali, da banditi opportunisti che approfittano del clima di impunità generalizzata. Assalivano la donna quando andava al campo o andava a raccogliere legna, o quando andava al mercato. E non era stuprata da una sola persona. Una ragazza ha testimoniato: « C’erano otto Mayi-mayi. Due mi hanno tenuta a terra e gli altri mi hanno violentata. Mi hanno messo due coltelli sugli occhi dicendomi che se avessi pianto me li avrebbero forati”[16]. Oltre al trauma personale, la donna stuprata subisce rischi che toccano la sua vita sociale, fisica e psichica: gravidanze indesiderate, con figli di padri sconosciuti; sopravvivenza difficile di questi figli e mancanza d’identità; rigetto delle donne stuprate da parte della comunità e della famiglia…[17].

Benché atto di sopraffazione estremamente grave, lo stupro sarebbe stato anche comprensibile, talvolta, da parte di soldati da lungo tempo lontani dalle famiglie e stressati dalle battaglie. Lo stupro nel Sud-Kivu, in un numero enorme di casi, non è stato questo. È stato la componente di un tentativo di demolizione totale della persona e del suo contesto. Le aggravanti, perversamente senza numero, delle sofferenze inflitte danno solo l’idea che si è giunti agli estremi limiti dell’abisso umano. Che sia difficile andare oltre. Che la pietà sia stata sepolta in luoghi lontanissimi insieme all’umanità. Se c’è un ateismo, penso che sia questo, la morte totale di ogni pietà umana. In esseri forse anch’essi duramente feriti dalla vita.

Quanti mariti e figli hanno dovuto assistere allo stupro della loro moglie e madre. Quanti familiari sono stati costretti a unioni incestuose e devastanti: figlio con madre, suocero con nuora… Quanti sguardi di donne non possono più incrociare quelli dei loro cari per la vergogna. Quanti stupri in serie hanno ridotto le donne in fin di vita lacerate nell’anima ancor prima che nel loro corpo. Quanti rapporti vissuti nel terrore del coltello piantato a fianco. Quante fughe dalla foresta rinunciate per evitare rappresaglie di morte sulle altre donne rapite. Quanta devastazione al vedersi violate le proprie figliolette. Lo stupro di una vergine guarirebbe dall’Aids, quello di una donna pigmea dal mal di schiena… Stupri con volontà precisa di diffusione dell’Aids, come testimoniato da diverse fonti e segnalato anche dal recente rapporto ONU. Quanti oggetti in quella vagina violata. Sassi, fino a riempire il ventre. Coltelli, punte di fucili. E peperoncino, perché la sofferenza non avesse fine. Parti genitali tagliate, talora portate come trofeo. E la morte, anche sotterrate vive.

Quanto è profondo l’abisso umano?  Questo contributo vuol invece planare dalle descrizioni più vaste del Mapping a qualche singola storia (1). Tenterà poi di raccontare la resistenza delle donne del Sud-Kivu (2). Infine cercherà di dirne le attese (3).

 

Sei donne raccontano

Ecco stralci dalla testimonianza rilasciata a Bukavu, capoluogo del Sud-Kivu, nel 2006 da sei donne sfollate dall’Urega, nella provincia del Sud Kivu, dopo avervi visto e subito atrocità[18].

La vita in foresta
Quando si fugge sotto gli attacchi, si prendono i bambini, ma nella fretta ce ne sono che cadono e muoiono calpestati o soffocati nel fango delle paludi. Una mamma era fuggita con i suoi due piccoli gemelli; uno è caduto ed è morto, calpestato dalla gente in fuga. Si inghiottono le lacrime e si continua a correre. Arrivati a un posto nascosto della foresta, ci si ferma. La foresta è buia e fredda giorno e notte. Si mangiavano delle radici, qualche raro frutto selvatico. Impossibile accendere il fuoco e dunque cuocere qualcosa, perché il fumo avrebbe immediatamente rivelato la nostra presenza ai nostri persecutori (…) Uscivamo dalla foresta camminando carponi per andare a strappare qualche radice di manioca al confine di qualche campo e rientrare in fretta nel nostro rifugio. Sapendo ciò, i miliziani ci aspettavano nelle vicinanze dei campi o al torrente per stuprarci. Quando il pericolo si avvicinava, ci addentravamo maggiormente nella foresta, dove il nemico che ci minacciava era la fame. Per mettere qualcosa nello stomaco dei nostri bambini, davamo loro da mangiare la sabbia finissima del torrente, mescolata ad acqua, o del fango, e ne mangiavamo noi stesse. Il viso, il ventre, le gambe cominciavano a gonfiarsi. Quanti dei nostri bambini sono morti in foresta! (…)

Lo stupro

Sono i Tutsi ruandesi che hanno cominciato a stuprare le donne a partire dalla loro avanzata nel novembre 1996. Le stupravano senza condurle nella foresta, perché non avevano campi militari all’interno di essa, restavano piuttosto nelle case. Nel 2002, quando la guerra fu terminata ufficialmente, fu la volta degli Hutu rwandesi che ci stuprarono. Quando ci attaccano dicono: “Tu, stupida, mettiti giù!”. E ci stuprano. Se è in casa, a volte fanno prima uscire la gente, a volte ci violentano davanti ai nostri mariti e ai nostri figli. È terribile essere stuprati davanti ai propri famigliari! Che almeno gli uomini non fossero presenti!Quando gli aggressori arrivano a casa nostra, soprattutto non bisogna dire se qualcuno della casa è nostro figlio, perché saremo obbligate a unirci sessualmente a lui. I genitori nascondono le loro figlie nella foresta, senza alcuna garanzia. (…) Mentre la gente fuggiva, una bambina di 9 ani è stata presa nel cortile e violentata da militari Tutsi; è andata a morire all’spedale di Nyamibungu.A volte lo stupro o gli stupri sono talmente violenti che causano la morte: molte donne hanno così perso la vita. Delle donne anziane sono morte a causa dell’umiliazione e della violenza fisica. Tra esse, Anastasie Mtamungu, moglie del sig. Kitungano, e Agnès Ndabugoma. L’anziana Nyazobela, violentata da sei militari, diceva prima di morire: “Non sento più nulla, né fame, né sete…”. Noi stesse donne seppellivamo le altre donne.Gli stupri hanno raggiunto il loro apice negli anni 1999-2003, ma continuano ancora. Fino ad oggi, nella nostra zona, là dove ci sono gli Interahamwe la coppia non esiste più, le donne non appartengono ai loro mariti: gli stupri sono continui, come pure i rapimenti. Le donne possono essere stuprate in qualsiasi momento del giorno e della notte e in qualunque luogo: al campo, al mercato, sul sentiero verso la sorgente, a casa loro…, e costituiscono perfino un pericolo per la sicurezza dei loro mariti.In tutto ciò, noi percepiamo la volontà e il piacere di umiliarci in ogni modo. Non vogliono che noi mettiamo ancora al mondo; non vogliono neppure che noi viviamo, perché ci distruggono nel corpo e nell’anima. 

La vita delle donne rapite 

Gli Interahamwe, durante i loro attacchi, portano con sé uomini e donne, per trasportare il loro bottino nel loro campo in piena foresta. Sono soprattutto ragazze e donne a essere rapite, per diventare schiave sessuali. A volte, una volta rapite, esse sono violate proditoriamente da miliziani portatori del virus HIV e poi rimandate al villaggio, perché essi sanno che contamineranno i loro mariti. Questo accade soprattutto alle donne che si mostrano più sveglie e più capaci di reagire. Le donne rapite saranno nutrite, ma non condotte nel campo più all’interno, dove i miliziani hanno le loro famiglie e una vita sociale organizzata: dispensario, scuole…Nei campi non organizzati, ragazze e donne sono stuprate immediatamente e da diversi miliziani. A volte, durante tutto il tempo della loro prigionia, sono violate quattro o cinque volte al giorno, da uomini diversi. Anche se una donna appartiene a uno di loro, quando egli partirà, ella passerà a un altro o a diversi.Nei campi organizzati, con persone più istruite, le donne sono sottoposte anzitutto a dei test, per verificare la presenza del virus HIV. Se sono sieropositive, vengono destinate ai miliziani portatori del virus, mentre le donne non sieropositive saranno per i miliziani sani. Quelle che sono destinate ai capi militari, sono riservate a loro e saranno sotto buona scorta. Tuttavia, nel percorso, esse saranno già state stuprate dai miliziani che le hanno condotte. Le altre donne saranno a disposizione di tutti i soldati semplici. Le bambine si occupano dei lavori domestici fino alla loro pubertà, dopo di che saranno stuprate.A volte, i miliziani fanno trovare una lettera nel villaggio, in cui chiedono alla famiglia un riscatto per liberare le persone rapite. È una tortura per la famiglia, obbligata a privarsi del poco che le resta, e per la donna, perché se la famiglia tarda a portare il riscatto, le diranno: “Vedi? Non ti vogliono bene”.Questi miliziani fanno uso di droga e bevande fortemente alcooliche. A volte, sentendo il crepitare dei fucili, pensavamo a un attacco, ma constatavamo poi che erano loro che facevano cadere un albero con una serie di tiri.Se una donna tenta di fuggire ed è ripresa, sarà mandata, in punizione, presso i malati di AIDS, oppure subirà una morte atroce: sarà tagliata a pezzi. Se ella appartiene a un miliziano, è lui che deciderà della sua sorte; e nella maggioranza dei casi, è la morte: “Uccidetela, la sostituirò”. A volte i miliziani riuniscono le donne di uno stesso villaggio e dicono a ciascuna di loro. “Se tu scappi, quest’altra sarà uccisa”. Così, ciascuna custodisce l’altra. Quando i miliziani si spostano, a volte portano con loro le donne prigioniere, a volte le uccidono. Nei campi c’è una solidarietà tra i prigionieri e ciascuno cerca di proteggere l’altro.Non abbiamo mai visto i miliziani nel campo pregare, né leggere la parola di Dio. Noi stesse non potevamo che vivere in modo interiore il nostro rapporto con Dio, che era il nostro conforto. Mawazo, una di noi, ha passato due anni nella foresta, stuprata da diversi combattenti. La sua situazione è migliorata quando lei ha spiegato al suo oppressore come trattare e pesare l’oro. Lui le ha chiesto allora di continuare a lavorare i minerali e ha preso cura di tenerla con lui. Un’altra donna ha passato cinque anni migrando da un campo all’altro. (…)

Ogni pretesto e ogni modalità erano buoni per ucciderci

Tutti i pretesti erano buoni per ucciderci. Se portavamo un pagne (abito tipico congolese), gli Interahamwe dicevano che eravamo spie venute da Bukavu, che era sotto il regime del RCD-Goma. Se nel cibo c’era un po’ di sale, essi assaggiavano e dicevano: “Siete collaboratori del RCD”. Se nel nostro piatto c’erano pezzi di selvaggina, o se portavamo il nostro raccolto dai campi, quelli del RCD-Goma dicevano: “Siete collaboratori dei Mayi-Mayi e degli Interahamwe”. Per questo noi mangiavamo senza sale ed eravamo quasi nude. Nel 2002 gli Interahamwe hanno ucciso una ragazza, si sono divisi fra loro il cuore e l’hanno mangiato. (…)Le maniere di ucciderci erano molteplici. Una maniera che non lascia tracce all’esterno è quella di introdurre pinze nella bocca della persona e tagliare al livello della gola. Il sangue scende all’interno della persona, che muore senza che si possano rintracciare ferite sul suo corpo. Oppure strangolare. A una donna incinta gli Hutu hanno trafitto il ventre con una freccia che aveva alla fine un uncino, che fu così fatto immesso nel corpo e lì lasciato. Poi, le hanno detto di partire, è andata a morire all’ospedale di Nyamibungu, insieme al bambino che portava in grembo. A Kasika, nell’agosto 1998, i Tutsi hanno infilato un bastone appuntito nella vagina di una donna, trafiggendola fino a fissarla per terra. L’hanno lasciata morire così, inchiodata al suolo. Spesso hanno bruciato la gente nelle loro case. Spargevano tutt’attorno alla casa della polvere da sparo e vi mettevano il fuoco. Subito la polvere esplodeva e bruciava la casa e i suoi abitanti (…)Noi non conoscevano ancora la realtà di questa guerra e quando una persona era uccisa, accorrevamo per fare il lutto e seppellirla. Ma i nostri carnefici ci attendevano sul posto e uccidevano anche noi. I cadaveri servivano da trappola. Quando fu assassinata la sentinella della parrocchia (di Kitutu, Sud-Kivu), sua sorella e sua figlia vennero per prenderne il corpo: così furono uccise sul posto. Accadde la stessa cosa a un uomo e a suo figlio venuti per seppellirle.In queste circostanze drammatiche, non si può contare il numero degli aborti; i parti sono prematuri e senza alcun accompagnamento di cura. A volte gli aborti accadono durante le fughe. Il feto cade, si taglia il cordone ombelicale, poi, nella corsa, la placenta cade e si continua a correre, senza occuparsi dei resti. Molte mamme sono morte per mancanza d’assistenza al momento del parto. A volte quegli assalitori introducevano un bastone nella vagina della donna incinta per farla abortire. A una mamma albina hanno tagliato il ventre in quattro, per vedere se la sua anatomia era come quella delle altre persone. Quante persone abbiamo seppellito! A volte cinquanta per volta, in una fossa comune (…) Questi massacri hanno raggiunto il loro culmine negli anni 1999 e 2000, ma non sono ancora terminati fino ad aggi(…)

 

Condizione della donna stuprata

Nella nostra tradizione, una donna infedele costituisce un pericolo per tutta la famiglia e questo vale anche nel caso di violenza sessuale. Se una donna è stata stuprata lontano da casa, nei campi o verso il fiume, ella deve conservare il segreto, perché sa che, se la famiglia venisse a saperlo, la si accuserebbe di essere la causa di eventuali malattie o della morte di suo marito, di suo figlio, di tutti i membri della famiglia.

Così, anche se la donna soffre per ferite o infezioni in conseguenza dello stupro, ella tace e non ha nemmeno il coraggio di chiedersi se è stata infettata con il virus HIV o colpita da altre infezioni sessualmente trasmissibili. D’altronde, i dispensari sono stati saccheggiati e non hanno più medicine. La donna va a sederci nell’acqua; brucia, ma non ha altre cure; oppure ricorre a cure tradizionali con erbe che mette nella vagina e che calmano un po’ il dolore.

La donna stuprata è cacciata di casa. È una fortuna per una nuora se anche la suocera è stata stuprata. Saranno messe in disparte, insieme, in una casetta del recinto e potranno sostenersi reciprocamente. La donna stuprata si disprezza essa stessa, perché è stata, oltretutto, spesso costretta a camminare nuda, spesso è stata stuprata davanti ai familiari. (…) Vorremmo che il grido della nostra sofferenza scoraggi tutti coloro che hanno voglia di cominciare altre guerre qui o in altri paesi.

 

Questa situazione appena ridotta di intensità in alcune zone del Sud-Kivu e in genere dell’est della RD Congo, continua tuttora, per opera di miliziani, soldati regolari e banditi[19]. È accaduta una banalizzazione dello stupro.

 

3. LA RESISTENZA

La resistenza delle donne del Sud-Kivu alla violenza, sessuale in particolare, si è espressa in molti modi.

Disperazione e resistenza armata

Talvolta, l’insopportabilità dell’umiliazione ha avuto come esito il suicidio. “Agnese, moglie di un agronomo, e Ndabugoma si sono buttate nel fiume. La signora Shambua si è uccisa. Zuena, costretta ad unirsi sessualmente a suo fratello, si è poi uccisa”, hanno testimoniato alcune donne fuggite dall’Urega[20]. Ci sono stati anche tentativi di resistenza armata, cui le donne hanno partecipato attivamente:

 “Due volte nel 1998 e una terza volta nel 1999, in diversi villaggi la popolazione si è organizzata, come al tempo in cui gli autoctoni combattevano gli Arabi qui praticavano lo schiavismo. Molti combattenti sono giunti da diverse parti, al suono del tamburo, per far fronte agli aggressori. Avevano pietre, lance e anche qualche fucile. Noi donne li aiutavamo passando loro le cartucce”[21].

 

La fuga

Delle donne prigioniere in foresta hanno rinunciato alla fuga per evitare rappresaglie su quante rimanevano. Tuttavia, in qualche circostanza, la fuga è stata possibile. Come in questo episodio del maggio 2005 nella zona circostante Bukavu[22].

Mapendo non è tornata. I suoi rapitori, i Rasta, la tenevano stretta, insieme alle sue compagne, mentre nella foresta fuggivano dall’attacco e dai tiri delle forze congiunte degli Hutu rwandesi del FDLR (Forze Democratiche di Liberazione del Rwanda) e da quelle Congolesi. È stata raggiunta da una pallottola alla schiena ed è morta, non senza, forse, intravedere il momento della libertà. Le altre sue quindici compagne, dai dodici anni in su, sono riuscite a fuggire, quando i loro aguzzini, sotto la pioggia di fuoco, le hanno lasciate. Hanno corso fra dirupi e cespugli spinosi e sotto la pioggia, dormendo brevemente all’aperto, venerdì 20, sabato 21, fino ad arrivare la domenica mattina al campo militare, con le gambe e braccia doloranti per la lunga corsa nella foresta e soprattutto il cuore colmo di una storia di prigionia durata spesso mesi. Erano state rapite e portate nel campo dei dirigenti, una per ciascuno. Abitavano in una specie di riparo fatto di teli di plastica e di stoffa messa attorno, (…) custodite con modi duri da un ragazzino di dieci anni. I rapitori portavano loro del cibo che rubavano. “Dio ha avuto compassione di noi, ci ha liberate”, dicono le ragazze mentre si rifocillano. Una chiede: “Potrò ancora ricevere la Comunione?”. (…) Quando è stata rapita, una era sposa da cinque giorni. Un’altra, camminandomi a fianco, mi confida: “Desideravo tanto diventare suora….”.

 

A prezzo della vita

Un numero imprecisato di donne sono riuscite a non lasciarsi violentare a prezzo della morte. Il recente rapporto Mapping, dell’ONU, dichiara, riguardo al periodo agosto 1998-gennaio 2001: “Le rare donne coraggiose che avevano osato rifiutare le avances sono state spesso giustiziate con altri membri di famiglia per dare l’esempio[23].

Storie di questo tipo appaiono in modo quasi inavvertito nei resoconti delle/dei testimoni. Ecco solo alcuni cenni di questa resistenza[24]. Una è stata crocifissa per aver rifiutato; recentemente un’altra, nella foresta oltre Burhinyi, ha avuto gli occhi traforati per lo stesso motivo. Il 27 aprile 2003, a Bugera, una donna è stata torturata per aver resistito allo stupro, quindi violentata; la sua casa ed il villaggio sono stati saccheggiati[25]. Nello stesso periodo, a Kalengera, la giovane Espérance Lwabaguma è morta per un colpo alla testa sparatole da due militari del RCD/Goma che volevano violentarla[26].

Pascasie Munguhashire[27], originaria di Mugogo nei pressi di Bukavu, era sfollata in città con la sua famiglia. Un giorno d’aprile 2003, nonostante il pericolo, volle tornare a Mugogo insieme al fratello per far visita alla zia. Alla periferia della città, gli spari li fecero perdere di vista e Pascasie arrivò sola al villaggio, che trovò svuotato della sua gente, fuggita in foresta. Qualcuno solo cominciava a tornare. Pascasia incontrò quattro amiche, che l’accompagnarono a casa sua. Trovando solo un po’ di farina di manioca, disse alle compagne: “Vado a cercare un po’ di erbe per preparare da mangiare per mio fratello e per gli altri che arriveranno tra poco”. I soldati del RCD che si aggiravano nel villaggio la videro, la seguirono in casa e la afferrarono, con l‘intenzione di violentarla. Pascasie resisté con tutte le sue forze. I soldati la ferirono per due volte alle mani con un coltello, ma Pascasie disse: “Uccidetemi , ma io non cederò”. Uno di loro le sparò al petto, colpendola con due pallottole. Le amiche non riuscirono a difendersi e furono violentate. Pascasie continuò a preparare il cibo, mentre il sangue cominciava a scorrerle lungo tutto il corpo. Alla sorella sopraggiunta disse: “Guarda come m’hanno ridotto, perché ho rifiutato”. Chiese la corona del Rosario, pregò e disse alla sorella: “Chiedi perdono per me a papà, perché sono venuta qui senza il suo permesso. Chiedi perdono per me a tutti coloro che ho offeso… Io perdono a tutti quelli che mi hanno offeso”. Prima di terminare il rosario, Pascasie muore. Era l’8 aprile. Aveva 18 anni.

 

Solidarietà fra donne

La solidarietà delle donne colpite da violenza fra loro ha assunto vari volti.

Di fronte allo stupro. Le donne hanno anche cominciato ad occuparsi di loro stesse. Il 10 dicembre 2003, 54° anniversario della Dichiarazione dei Diritti Umani, le donne della Società Civile del Sud-Kivu hanno creato una loro struttura di lotta contro gli stupri e le altre forme di violenza sessuale nell’est della RDCongo[28]. A Uvira, le donne hanno cominciato a riunirsi, a parlare, a offrire alle loro sorelle violentate la possibilità di essere accolte, ascoltate, capite, curate. Con discrezione vengono contattati anche i mariti e i familiari, per una coscientizzazione. A Bukavu è stato messo in atto un paziente lavoro di contatto con bambine, ragazze e donne vittime di violenze sessuali, attraverso il Centro Olame, l’Association Lieu Ecoute, la Commissione diocesana Giustizia e Pace e altre associazioni. Per lungo tempo, le donne sono venute dai villaggi dell’interno, per gruppi a turno, una volta al mese, accompagnate da una donna spesso passata lei stessa per lo stesso dramma. L’assistenza prevede ascolto, esami medici e cure, questi ultimi soprattutto presso l’ospedale di Panzi quartiere periferico di Bukavu, presso il dott. . Un’azione di sensibilizzazione è fatta anche presso i mariti, il cui atteggiamento in diversi casi comincia a cambiare.

Solidarietà economica. Se tanta popolazione ha sopravvissuto alla guerra è per l’aiuto eroico e discreto fra vicini, fra donne in particolare. La donna ha tenuto viva la compassione in situazioni dove era fatta regnare la disumanità. Un episodio fra innumerevoli. Nel giugno 2009, una mamma, in stato di AIDS avanzato, con sei figli, proveniente dall’interno, dove in un attacco di ribelli il marito e un figlio erano stati uccisi e lei era stata violentata, sopravviveva con i suoi figli a Bukavu misurando al grammo il cibo che riceveva in quanto malata e rivendendone una parte, per pagare l’affitto. Ormai da mesi però era inadempiente e il padrone di casa un giorno la fece uscire, insieme ai figli e alle loro poche cose dalla casetta, cui appose un lucchetto. La donna e i figli rimasero per alcuni giorni sulla strada. Una donna passò di lì per andare al mercato, li vide, intervenne in loro favore presso il padrone di casa, ma senza esito. Ritrovandoli l’indomani nella stessa situazione, la donna disse a quella mamma: “Prendete tutte le vostre cose e venite a stare a casa mia”. Li accolse in una stanza della sua casa e poi, con l’aiuto della comunità cristiana del quartiere, si trovò per loro una casetta in affitto.

 

Denuncia

Il sostegno reciproco e la vicinanza di altre persone hanno dato alle donne il coraggio di denunciare il loro stupratore. La legislazione congolese si è fatta più severa e qualche processo è stato fatto. A questo gesto, necessario per uscire dall’impunità, si frappongono tuttavia non pochi ostacoli:

–          vergogna di fronte al marito e alla famiglia, con il rischio di essere scacciata;

–          rischio del sospetto sociale: “è accaduto perché ci sei stata”;

–          vergogna ai propri stessi occhi;

–          impossibilità, spesso, di risalire all’identità dello stupratore, specie quando si tratta di attacchi repentini di truppe che poi riguadagnano la foresta;

          timore di una sanzione che diverrebbe un ulteriore e ancor più grave insulto: l’uomo versa un rimborso che è come una dote, alla famiglia della ragazza, e acquisisce il diritto di averla in moglie. È l’“arrangement à l’amiable” (aggiustatura amichevole), che farà di quella ragazza una stuprata a vita.

 

Vita che vince

Nel buio di queste vicende, le donne hanno vinto spesso con la forza più grande, come scriveva mons. Emmanuel Kataliko, vescovo di Bukavu dal suo esilio di Butembo nel 2000: “La sola risposta all’eccesso del male, e’ l’eccesso dell’amore”.

Figli accolti. Di fronte a stupri, specie di grande crudeltà, la tentazione di disfarsi della gravidanza non voluta è stata ed è grande. Vari fattori premono: il rischio d’essere scacciate di casa dal marito, lo sguardo accusatorio dei compaesani, il pensiero di come nutrire quel figlio, il timore di generare un futuro nuovo oppressore della propria gente…. Eppure, molti di questi figli sono nati, segno che anche nell’abisso del male la donna sa far prevalere l’umanità, la compassione. Una signora che accompagna alcune di queste ragazze, dice loro quando le vede tentate di abortire: “Metti al mondo il figlio, poi m’incarico io di trovargli una famiglia”. Quando però va a prelevarlo, la ragazza in genere dice: “Non posso, è mio figlio” e lo tiene con sé. Una forma di affido, per esempio presso i nonni, è però prevista quando la ragazza si sposa, per facilitarle questa opportunità.

Risalire l’abisso. La vita prevale nella capacità di resistere anche psicologicamente della donna, anche durante lunghe prigionie, anche dopo esperienze traumatiche come la violenza subita e l’uccisione dei propri cari. Specialmente se sopravvive qualcuno che richiede le sue cure, la donna si rimette in piedi, ritrova nello sguardo dei figli sopravvissuti ragioni per lottare, anche se lei stessa è piena di ferite.

Comunque ai campi. Andare al mattino nei campi, per aver di che nutrire i figli, ha significato per le donne – e in certe zone lo significa ancora – esporsi quotidianamente al rischio dello stupro, da parte di militari e sbandati, nell’impunità generale. Eppure sono andate e vanno lo stesso, magari in gruppo, magari accompagnate da un uomo, che fuggirà all’apparire degli assalitori. Spesso le donne vedono la morte guadagnare il loro corpo a causa dell’AIDS, eppure continuano a fare lavori anche pesanti, per nutrire i figli, solo sperando di lasciarli un po’ cresciuti.

In tutto questo la donna fa ricorso a energie nascoste, a una capacità di sorridere anche sotto il peso più grande. Un’energia particolare le viene da un quotidiano rapporto con Dio, dalla certezza che Dio sa, conosce, non abbandona e le darà un giorno riscatto. Di particolare interesse il constatare che tale fede ha accompagnato esperienze durissime, come una lunga prigionia e schiavitù sessuale, senza venire messa in questione. Molte donne hanno saputo leggere in dettagli quotidiani di quei giorni il segno di una protezione e ricevere speranza in un futuro.

 

Gli 8 marzo [29]

Giornate di riflessione e marce pacifiche sono state organizzate dalle donne per studiare vie e mezzi per di riportare la pace. Le giornate dell’8 marzo sono diventate negli anni di guerra, giornate di lutto o di riflessione sulle strategie per la pace. Per esempio, per quanto riguarda il Sud-Kivu :

  •  8 marzo 2000, « Giornata senza donna » : ogni donna doveva restare in casa a fare il lutto per i morti in guerra e per i suoi diritti calpestati.
  • 8 marzo 2001: nel quadro della campagna nazionale « Donna partner per la pace in R.D.Congo ». le donne del Kivu hanno protestato contro gli stupri e violenze sessuali di cui sono oggetto.
  • 8 marzo 2002: sit-in delle donne davanti all’ufficio del Governatore del Sud-Kivu, chiedendo la presa in considerazione delle loro lamentele e la presa a carico di quante hanno subito stupro e altre violenze.
  • 8 marzo 2003: manifestazione silenziosa, per chiedere che le nuove autorità tengano conto della rappresentatività della donna.
  • 8 marzo 2004: marcia pacifica delle donne, vestite in nero, sul tema « Senza sicurezza, la dignità della donna resta calpestata ».
  • Nel 2006, le donne hanno riflettuto sulla « Partecipazione della donna nella presa di decisioni »…

 Il diminuire della tensione bellica in città e la manipolazione politica hanno però banalizzato gli appuntamenti dell’8 marzo, al punto che non poche donne rifiutano ormai di partecipare a sfilate che si concludono con discorsi retorici e di circostanza.

 

4. SPUNTI PER UNA LETTURA BIBLICA

Da Gabaa a Gabbatà

È sconfitta la donna rapita, la donna umiliata? Di questo esercito inerme che ha lottato per la vita e contro cui per una segreta profonda avversione la forza della morte si è accanita non resta che celebrare la sepoltura?

C’è nel libro dei Giudici, in un contesto pure di violenza, la storia di un levita che aveva preso come concubina una donna di Betlemme di Giudea. Per un problema nato fra i due, la donna era ritornata alla casa paterna e lui andò a riprenderla. Non volendo più restare dal suocero, volle ripartire con la moglie e un servo alla volta di Gerusalemme. Pernottarono a Gabaa: un vecchio che tornava dai campi li vide e li accolse in casa sua. Ma uomini corrotti della città vennero e chiesero al vecchio il viaggiatore per abusarne. Il vecchio propose loro piuttosto di prendere la figlia di lui e la moglie del levita. Il levita

“spinse la moglie fuori e l’abbandonò nelle loro mani. Quelli ne usarono e la violentarono per tutta la notte, fino al mattino, quando, sul far dell’aurora, la lasciarono andare. La donna arrivò a casa al mattino e, caduta davanti alla porta della casa dove si trovava suo marito, restò lì, così, finché non fu giorno. (…) Il marito le disse: “Alzati ché partiamo”. Ma non ebbe risposta. Allora egli la prese e, caricatala sul mulo, partì per tornarsene a casa.” (Gdc 19,25b-28).

Il marito ne divise il cadavere in dodici pezzi mandati alle dodici tribù d’Israele chiedendo: “È mai avvenuto un fatto come questo, dal giorno della liberazione degl’Israeliti dall’Egitto fino ad oggi? Pensateci bene: discutete e decidete” (Gdc 19,30a). Non era mai accaduto, convennero le tribù e prepararono una spedizione contro Gabaa.

Secondo l’esegeta domenicano Philippe Lefebvre, da allora il nome Gabaa riappare più volte nella Bibbia. Lo si ritrova, sotto la forma Gabbatà, nel racconto della passione di Gesù:

“I Giudei continuavano a gridare: ‘Se tu liberi costui, non sei amico di Cesare. Chiunque si fa re, si oppone a Cesare’. Sentite queste parole, Pilato condusse fuori Gesù e sedette su una tribuna nel luogo chiamato Pavimento di pietra, in ebraico Gabbatà. Era la preparazione della Pasqua, intorno all’ora sesta. Pilato disse ai Giudei: ‘ Ecco il vostro re!”. Ma quelli gridarono: ‘Via, via! Crocifiggilo!’. Disse loro Pilato: ‘Crocifiggerò il vostro re?’. Risposero i sacerdoti-capi: ‘Non abbiamo altro re che Cesare’. Allora lo consegnò loro perché fosse crocifisso. Presero dunque in consegna Gesù” (Gv 19,12b-16).

L’esegeta accosta i due episodi e afferma: “nella Bibbia, il più essenziale si iscrive così in ciò che c’è di più abbandonato, nella carne delle persone dimenticate e umiliate. (…) Qui, il corpo della donna è rivelatore della violenza di cui Dio è l’oggetto”[30].

Il silenzio di Gesù ormai nell’imminenza della morte richiama il silenzio di morte della donna. Gesù tace e si espone alla morte e porta su di sé il peso della condanna che ci spetterebbe. La donna era stata buttata fuori dal marito per salvare se stesso e ha portato su di sé il male che era destinato a lui. Gesù, il sacro, il santo per eccellenza, è stato portato a vivere la suprema maledizione per la cultura del suo tempo: la crocifissione[31]. Il suo corpo sarà rapidamente tolto dalla croce per non dissacrare il sabato che cominciava. Ma per quella morte fu squarciato il velo del tempio (Mc 15,38) e Dio si fece visibile in quell’uomo apparentemente maledetto. E per sempre quanti vogliono salvezza “guarderanno a colui che hanno trafitto” (Gv 19,37)[32].

 

5. ATTESE

Che cosa si attende la donna congolese, la donna dell’est della RD Congo, del Sud-Kivu in particolare? Proverò a esprimere le sue attese come le ho percepite.

Agli uomini dei Paesi della Regione dei Grandi Laghi, Rwandesi, Congolesi, Ugandesi che le hanno offese: nelle donne umiliate hanno calpestato la loro madre, la loro sorella, la donna che hanno amato. Risalgano l’abisso. Rimborsino. Assumano le loro responsabilità. Che mai più si disonorino volendo disonorare una donna.

Agli altri uomini fra cui esse vivono. Considerino il dramma vissuto e moltiplichino il loro rispetto.

Alle associazioni, a chi fa l’umanitario: siano onesti, non facciano del dramma delle donne un fondo di commercio: sarebbe un ulteriore stupro. Chi dà alle donne sieropositive o malate di AIDS le medicine gratis, non dimentichi di continuare a dar loro anche un supporto alimentare e lavori in sincronia con altri, perché la donna possa, per quanto possibile, rimettersi in piedi, insieme ai suoi figli.

Alle chiese: continuino, intensifichino la promozione dell’accoglienza, l’integrazione, la solidarietà. Mobilitino le loro risorse spirituali per svelare alle donne il senso del loro dramma e la loro dignità.

Alla società civile internazionale: la sofferenza delle donne congolesi non serva solo a far rabbrividire, non faccia concludere che gli Africani sono selvaggi o che le donne sono compiacenti[33]. Non ci si limiti a un aiuto umanitario, ma ci si interroghi sulle cause.

Agli uomini politici locali e internazionali: non siano teatranti che gridano allo scandalo senza voler riconoscere le cause profonde. Non divengano agenzia umanitaria. Guardino in faccia le reali cause della devastazione che imperversa nella RD Congo e nella Regione dei Grandi Laghi, dando risposte politiche, che ne attacchino le radici, a prezzo degli interessi loro o del mondo economico che li condiziona.

Ha scritto recentemente la Commissione diocesana Giustizia e Pace di Bukavu, nel suo periodico “Flash”:

“Tutti questi diplomatici e membri della comunità internazionale che vengono a commuoversi sulla questione delle violenze sessuali dovevano forse prendere di mira non le conseguenze, ma le cause di questo flagello che umilia tutto il mondo civile. Quale aiuto economico, sociale, medico si può fornire alle vittime quando i loro carnefici se la spassano, imperturbati nei salotti diplomatici?”[34].

 

CONCLUSIONE

Se il Congo è vivo, lo è anzitutto grazie alle sue donne. Nessuno come loro ha pagato in questa guerra. Nessuno come loro odia questa guerra. Le donne congolesi non sono tutte delle sante, certo. Anch’esse sono esseri limitati e sottoposti alla tentazione dell’egoismo. Anch’esse, in qualche caso, all’occasione, diventano donne di potere, soprattutto economico. Anch’esse sanno sprecare la dignità. Sanno rovinare la vita di un’altra donna rubandole il marito. Sanno dimenticare la fedeltà. Vivere in miseria in un mondo globalizzato spinge delle ragazze a prostituirsi, pur di avere del denaro per i bisogni o per il superfluo, che è pure importante per una donna. Ma nell’insieme, anche coi loro limiti, nell’est del Congo ancora in guerra, dietro apparenze di pace, le donne sono lo splendido, debole e insieme forte esercito della pace, un’immagine forte di una tenerezza che per i credenti è partecipazione a quella di Dio.

Teresina Caffi
 


 

[1] Testo in francese su: http://www.ohchr.org/EN/Countries/AfricaRegion/Pages/RDCProjetMapping.aspx Nella sintesi da me qui fatta, benché attenta, può esserci qualche imprecisione.
[2] Pp. 296-335; par. 529-654.
[3] Anche degli uomini, in misura minore, sono stati vittime di violenze sessuali.
[4] Un inizio di correzione giuridica è la legge del 2006 sulle violenze sessuali.
[5] Mapping usa il condizionale, in quanto auspica un’indagine successiva in vista di procedimenti giudiziari.
[6] Alleanza delle Forze Democratiche di Liberazione, che spesso operava in collaborazione con le forze del nuovo regime ruandese, il Fronte patriottico ruandese (FPR), il cui esercito è l’APR.
[7] Con la conquista del potere nel maggio 1997, l’esercito dell’AFDL/APR ha preso il nome di FAC, in cui si mescolavano soldati ruandesi, per cui Mapping scrive. FAC/APR.
[8] Ramo armato del movimento filo ruandese del RCD (Rassemblement congolais pour la démocratie).
[9] Le Forze per la difesa della democrazia (FDD) erano il ramo armato del movimento hutu burundese del Centro nazionale per la difesa della democrazia (CNDD).
[10] Allied Democratic Forces/National Army for the Liberation of Uganda.
[11] È l’esercito del MLC, Mouvement pour la Libération du Congo, il gruppo militare-politico di Jean-Pierre Bemba.
[12] Gruppo dissidente del RCD-Goma.
[13] Partigiani congolesi che s’oppongono alla presenza di truppe straniere nel Paese.
[14] Organizzazione militare e politica dei rifugiati hutu ruandesi in RD Congo.
[15] Delle donne fuggite dall’Urega dicevano che erano arrivate in città sperando di trovare un conveniente aiuto; nonostante il pullulare di ong non l’avevano trovato e questo era stato per loro una delusione più forte degli affronti subiti in foresta. L’aiuto medico non basta, l’accompagnamento psicologico è offerto da qualche associazione, ma rimettersi in piedi economicamente, sopravvivere, resta una grande sfida per queste donne, che hanno bisogno di tutto, finché non sono messe in grado di svolgere un’attività fornitrice di reddito.
[16]Humain Rights Watch, La guerre dans la guerre. Violence sexuelle contre les femmes, Rapport, p. 27.
[17] Stralci da : Chantal Mudhosa, Sr. Joséphine Zihalirwa, Teresina Caffi, Nous les femmes, Une réflexion sur notre condition de femmes, Bukavu, 16.07.2009, pro manuscripto. Le donne rapite e poi riscattate tornano a casa traumatizzate dagli abusi sessuali subiti e malate, col rischio anche del contagio AIDS. Un uomo di Walungu, nelle vicinanze di Bukavu, ha detto : “Anche quando riusciamo a riscattare le nostre mogli, chi è ormai la persona che torna a casa? Una moglie o un albero?”.
[18] Testimonianza raccolta a Bukavu il 9 giugno 2006 da Mwinja Nsimire Ester e Teresina Caffi.
[19] L’ONU ha denunciato che a partire tra luglio e agosto 2010 si sono registrati nel Nord e Sud Kivu più di 500 stupri (AP, 08.09.2010).
[20] Testimonianza raccolta a Bukavu il 9 giugno 2006 da Mwinja Nsimire Ester e Teresina Caffi, p. 7. Le testimoni parlano anche di suicidi fra gli uomini, per le stesse ragioni.
[21] Ibidem, p. 9.
[22] Stralci da: Teresina Caffi, Una popolazione divenuta riserva di caccia. Sud-Kivu, RD Congo, Bukavu, RDCongo, 29.05.’05, articolo.
[23] Doc. ONU, n. 592; cf. 641.
[24] Ci stati anche uomini che si sono lasciati uccidere per onorare le proprie donne. Una donna, fuggita a Bukavu dall’Urega, testimoniava nel dicembre 2006 che il marito era stato ucciso dai miliziani perché voleva impedirne lo stupro e il figlio, l’unico, fu a sua volta ucciso perché rifiutava di unirsi sessualmente alla madre, che, in seguito fu stuprata da dieci miliziani di seguito.
[25] Cf. Flash spécial della « Commission Diocésaine ‘Justice et Paix’ di Bukavu », 22 maggio 2003.
[26] Cf. Rapporto di « Messagers pour l’Education et la sensibilisation des enfants à la paix » (MESEP), 30.4.’03.
[27] Sintesi della storia di Pascasie raccontata da p. Mario Sciamanna, s.x..
[28] Da un comunicato di J. M. Kyalangilwa, presidente provinciale della Società Civile del Sud-Kivu, 3.5.’03.
[29] Stralciato da :  Chantal Mudhosa, Sr. Joséphine Zihalirwa, Teresina Caffi, Nous les femmes, Une réflexion sur notre condition de femmes, Bukavu, 16.07.2009, pro manuscripto.
[30] In La Croix, 25-26 dicembre 2006.
[31] “Gesù – dice la Lettera agli Ebrei – per santificare il popolo mediante il proprio sangue, ha sofferto fuori della porta” (Eb 13,12), nel luogo non sacro per eccellenza, il luogo della maledizione (Gal 3,13).
[32] Il quarto Canto del Servo del Signore dice: “Disprezzato, ripudiato dagli uomini, / uomo dei dolori, conoscitore della sofferenza, / simile a uno davanti al quale ci si copre la faccia, / disprezzato, sì che non ne facemmo alcun caso. / Eppure, egli portò le nostre infermità, / e si addossò i nostri dolori. / Noi lo ritenemmo come un castigato, / un percosso da Dio ed umiliato. / Ma egli fu trafitto a causa dei nostri peccati, / fu schiacciato a causa delle nostre colpe. / Il castigo che ci rende la pace fu su di lui. / E per le sue piaghe noi siamo stati guariti” (Is 53,1-5).
[33] Si legga da vicino la storia di ogni guerra.
[34] Flash n. 23, ottobre 2011.